La mente deve liberarsi dai concetti, che rappresentato solo la forma del pensiero, per unirsi alla sorgente della conoscenza, rappresentata dalla vacuità della meditazione

Che cosa si intende per conoscenza? In ambito spirituale, il concetto di conoscenza è molto più profondo del sapere tecnico della scienza. La scienza crea gli strumenti stessi con cui misura il proprio progresso, i quali escludono l’evoluzione interiore dell’essere umano. Ne è una conferma il fatto che ad oggi, il progresso o il benessere non lo misuriamo attraverso le qualità interiori, ma con dei fattori esterni quali il fattore economico, perfino la salute è qualcosa di esteriore, perché pur essendo aumentata l’età della vita sono aumentate le malattie.

Siamo in grado di diagnosticare e curare le malattie meglio di prima, ma non siamo in grado di vivere in modo più salutare. Sicuramente l’uomo nel passato, che viveva in condizioni meno sviluppate, godeva di una forza e salute (se non era esposto a pericoli esterni) migliore della nostra che facciamo una vita sedentaria. In poche parole, il confort apporta dei miglioramenti che non vanno direttamente a migliorare le qualità interiori dell’uomo.

Questo paradosso dipende dal valore e dal significato che noi attribuiamo alla conoscenza. Sapere che cos’è una mela, attraverso la sua descrizione, non corrisponde alla conoscenza, o in altre parole, alla verità. Questo tipo di sapere si limita ad una conoscenza più limitata, di tipo dualistico. La descrizione di una mela, infatti, è resa possibile dal lavoro dei nostri sensi. Prima di tutto, dobbiamo averla vista almeno una volta. Così, possiamo ritornare alla nostra immagine della mela ogni volta che abbiamo bisogno di sapere di cosa parliamo.

Nella mindfulness si definisce atteggiamento naturale, o elaborazione di secondo ordine. Questo processo non rappresenta la verità, è solo una riproduzione, o proiezione, del concetto di mela che abbiamo appresso attraverso i sensi o i nostri schemi cognitivi. Inoltre, questa memoria rende tutte le mele uguali.

Fonte: P.S.

Nello yoga esistono delle fasi che vengono usate per descrivere il processo attraverso il quale si raggiunge un alto livello di evoluzione. Una di queste fasi (sono otto) è chiamata pratyahara. Con essa si descrive lo stato in cui i sensi dello yogi si ritirano, quando non sono più rivolti agli oggetti esterni. Come alla mela, per esempio. Potremmo dire, quindi, come è possibile ritirare i sensi dal mondo esterno, come avviene la conoscenza a questo livello? Per noi sembra impossibile, eppure per conoscere qualcosa non è necessario sempre vedere o sentire, come siamo abituati a fare normalmente.

La mente deve liberarsi dai concetti, che rappresentato solo la forma del pensiero, per unirsi alla sorgente della conoscenza, rappresentata dalla vacuità della meditazione. Lo stato meditativo è senza forma, quindi non-duale. Quando lo yogi raggiunge lo stato di concentrazione perfetta in cui la mente libera da ogni schema cognitivo raggiunge lo stato che nello yoga viene chiamato dhyana, in esso egli si ricongiunge con la realtà intrinseca di ogni oggetto. Per cui egli non sa cos’è una mela, ma egli si identifica con la stessa essenza della mela e di ogni fenomeno che lo circonda.

La differenza tra essere e sapere è la natura che differenzia la cultura orientale da quella occidentale, la differenza tra filosofia e spiritualità pura. Questo stato di non separazione e non-dualità in cui si è vicini all’essenza di ogni cosa, è la fine della sofferenza, di ogni male, il cui obiettivo è alla base di ogni corrente spirituale. Non il progresso unilaterale ma l’unità della vita. La vera conoscenza, unica e unificatrice, può avvenire solamente con la reintegrazione dallo stato di dualità (soggetto-oggetto) allo stato di non-dualità intrinseco alla meditazione.

So Ham: Io sono, nello jnana-yoga, è l’unico pensiero che bisogna avere.

Paolo Stefàno

HARI YOGA ROMA

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