Nel 2021 il Consiglio di Stato ha dichiarato come illegittima la chiusura della struttura con conferma definitiva da parte della Corte suprema di Cassazione
È uno dei più grandi misteri (e problemi) della Sanità Capitolina che, molto probabilmente, continuerà a rimanere tale per tanto tempo ancora. Parliamo dell’ospedale San Giacomo in Augusta, anche detto degli Incurabili situato, quando ancora era in attività, nel cuore dell’Urbe con gli ingressi in via Canova 29 e in via del Corso 493 e 497.
Una struttura che, per anni, ha rappresentato il fiore all’occhiello della Capitale ma, soprattutto, un supporto non da poco alle realtà “vicine” come il Santo Spirito (sul lungotevere altezza San Pietro) e il Fatebenefratelli (all’isola Tiberina).
Il San Giacomo non è più funzionante dal 2008 quando, dopo un’attività durata 670 anni (senza interruzione alcuna) la allora Giunta regionale ne dispose la chiusura. E tale decisione avvenne poco dopo i lavori di ristrutturazione. Molti cittadini, riunitisi in comitati, hanno contestato questa scelta, specialmente sulla base della carenza dei posti letto che si pone tra i problemi che affliggono la Sanità italiana.
Fonte: Il Foglietto della Ricerca
Fonte: Potere al Popolo
Ma prima di proseguire con la realtà dei giorni nostri, vale la pena narrare la storia di questo complesso.
Le sue origini risalgono al Medioevo. Nel 1339, il Cardinale Pietro Colonna ne decise la rivalutazione da ospedale solo per gli “incurabili”, onorando la volontà di suo zio Giacomo che aveva notato come tali malati venissero rifiutati dagli altri centri romani quali il Santo Spirito in Saxia ed il San Salvatore (divenuto poi San Giovanni in Laterano). Il San Giacomo divenne il terzo ospedale più importante della Città.
In vero, dietro l’attenzione di Giacomo si nascondeva, probabilmente, la volontà di riscattare l’onore della Casata che era stata raggiunta da una scomunica da parte di Papa Bonifacio VIII dopo il cosiddetto “Schiaffo di Anagni” (quando il Pontefice il 7 settembre del 1303, venne raggiunto nei locali della Cattedrale di Anagni ove si trovava per essere imprigionato. Lo “schiaffo” non fu tanto di natura materiale quanto morale, considerato il personaggio, anche se la leggenda vuole che Giacomo Sciarra Colonna abbia concretizzato l’atto di schiaffeggiare Bonifacio).
Ma torniamo all’Ospedale. L’appellativo “in Augusta” nacque dall’ubicazione della struttura vicina ai resti del mausoleo di Augusto. La promozione ad ‘Arcispedale’ avvenne nel 1515 per volontà di Leone X: attraverso la bolla ‘Salvatoris Nostri Domini Jesu Christi’ si sancì ufficialmente la trasformazione a ricovero per malati incurabili senza distinzione di classe sociale e sesso, con attenzione alla cura del “morbo gallico” (la sifilide). L’organizzazione, invece, fu riformata da San Camillo de Lellis che qui fondò il suo Ordine, quello dei ‘Ministri degli Infermi’ o ‘Camillani’. Nella struttura operarono nomi destinati a passare alla Santità: Filippo Neri, Gaetano Thiene e Felice da Cantalice.
Fonte: Etruria News
Giungendo al XX secolo, si parlò di una chiusura del nosocomio allo scoppio della I Guerra mondiale, nel 1914; tale scelta venne pensata in seguito alla creazione del Policlinico Umberto I. Una serie di proteste della cittadinanza, però, scongiurarono tale provvedimento e, proprio durante la Grande Guerra, il San Giacomo divenne un presidio sanitario militare. Nel 1929 fu ridimensionato a pronto soccorso per poi tornare pienamente attivo due anni dopo.
Diverse furono le modifiche apportate al suo interno: tra il 1953 e il 1954 furono realizzati lavori di modernizzazione; nel 1963 si inaugurò il centro di Epatologia con il Presidente della Repubblica Giovanni Leone presente alla cerimonia; nel 1969 si attivò il Servizio di Nefrologia e Dialisi dell’Ospedale mentre nel 1977 si diede vita all’Unità Operativa Complessa di Nefrologia e Dialisi.
Entrando nel XXI secolo, il 2003 segnò l’inizio di una nuova ristrutturazione e nel 2007 fu inaugurata la nuova rianimazione. Le ultime strutture ad essere completate, nel luglio del 2008, furono la neurologia e il day-hospital. E solo un mese più tardi, l’annuncio della chiusura.
Fonte: Diario Romano
La Regione Lazio motivò tale scelta per via della situazione assai difficile del debito sanitario regionale. La Testata de “Il Sole 24 Ore” denunciò, però, l’applicazione di un prezzo troppo basso delle vendite del patrimonio immobiliare ospedaliero, avvenute tra il 2004 e il 2007 (926 immobili, situati in buona misura nel centro storico e vincolati (per più del 60%) dalle Belle Arti).
Nel 2021 il Consiglio di Stato ha dichiarato come illegittima la chiusura della struttura, attraverso la sentenza N. 02802/2021. Tale decisione ha rappresentato il risultato della battaglia legale portata avanti da Oliva Salviati, discendente del cardinal Salviati che, nel 1579, finanziò i lavori di rinnovamento ed ampliamento ultimati nel 1592. Il porporato vincolò il complesso, con lascito testamentario datato aprile 1593, affinché l’uso ospedaliero avvenisse anche nel futuro. E per questo, oltre a nominare esecutore testamentario lo stesso pontefice Clemente VIII, Salviati donò alla struttura una cifra assai importante frutto di decine di immobili, tenute e ‘luoghi di monte’ (ovvero, titoli di debito pubblico), con l’idea di un sostegno che si perpetrasse anche nei secoli futuri. Nel testamento fu chiaramente vietata la cessione degli stessi per nessun caso, né di estrema urgenza, né di altra natura poiché questi venivano donati al solo fine del sostentamento del San Giacomo. La direttiva fu confermata nel marzo 1610 da Papa Paolo V con bolla promulgata in forma di ‘motu proprio’ (di propria iniziativa).
Fonte: Wikipedia
La discendente, quindi, ha rivendicato la volontà dell’avo e la sentenza è stata poi confermata definitivamente dalla Corte suprema di Cassazione, a Sezioni Unite, con Ordinanza Numero 4386 del 13 febbraio 2023. Chissà se tutto questo rappresenterà un ritorno alla vita di un ospedale tanto storico quanto prezioso per i romani (e non soltanto) o se, al contrario, come la burocrazia italiana ci insegna, dovranno passare ancora lunghi anni prima che qualcuno possa far risorgere la fenice dalle sue ceneri.
Stefano Boeris