I Brics riuniti nella capitale tatara di Kazan, in Russia, dal 22 al 24 ottobre, valutano a braccia aperte la mossa di Erdogan
L’alleanza economica dei Brics, acronimo delle iniziali dei suoi Paesi fondatori, ovvero Brasile, Russia, India e Cina, si è formata nel 2006, coinvolgendo quattro anni dopo anche il Sudafrica.
Adesso, però, i Brics sono decisamente cresciuti e ricevono sempre più richieste da parte di altre nazioni che aspirano a farne parte. A Johannesburg, ad esempio, furono ammessi l’Etiopia, gli Emirati Arabi Uniti, l’Iran, l’Egitto e l’Arabia Saudita (che sta completando l’iter di adesione).
Un’immagine dei Brics – Fonte: ANSA
Ora è la volta della Turchia, ma si potrebbe definire “la svolta della Turchia”, primo paese della Nato, nonché secondo esercito più grande dell’Alleanza dopo gli Stati Uniti, a chiedere di entrare nei Brics. E poi di Azerbaigian e Malesia, oltre a un forte interesse manifestato da Thailandia e Kazakistan (il cui sponsor è la Cina).
Infine, in stallo ancora l’Algeria per un veto dell’India. Come contentino l’Algeria è però entrata a far parte del New Development Bank, l’istituto bancario dei Brics, di cui fa parte anche l’Uruguay.
I Paesi che hanno bussato alla porta per entrare nei Brics hanno un peso importante. Innanzitutto, ce l’ha per dimensioni e importanza strategica la Turchia, che insieme all’Azerbaigian è coinvolta da protagonista nello scenario geopolitico che potrà mutare le relazioni con l’Europa e l’Asia, mentre la Malesia è un membro dell’Asean, associazione delle nazioni del sudest asiatico (fondata nel 1967) che sta sviluppando il suo ruolo di cooperazione economica in un contesto come quello dell’indo-pacifico dove giganteggiano su tutti la Cina e l’India.
Secondo gli esperti, la richiesta della Turchia di entrare nei Brics è strettamente riconducibile alle sue scarse, se non nulle, chances di entrare nell’Unione Europea. Il ministro degli esteri turco, Hakan Fidan, ha dichiarato all’Agenzia turca Anadolu che “se la nostra integrazione economica nell’Unione Europea fosse stata coronata da un’adesione superiore a quella dell’unione doganale, forse non ci troveremmo in questo tipo di ricerca”.
Erdogan sa benissimo che il suo percorso politico ha infilato ormai il viale del tramonto. Il secondo mandato dell’attuale presidente turco, infatti, scadrà nel 2028, ma la sua popolarità all’interno del Paese è in caduta libera. Ma sul piano strategico la Turchia utilizza molta tecnologia prodotta nei paesi dell’Occidente per i suoi armamenti militari, compresi carri armati e droni, che non potrebbe fabbricare senza questo tipo di cooperazione. La vendita dei droni turchi avviene poi proprio grazie ai buoni rapporti che Ankara ha con gli alleati della Nato. In futuro, la Turchia potrebbe aprire altri canali di anche con i membri dei Brics.
Inoltre, i tavoli su cui il “sultano” Erdogan gioca con furbizia sono molteplici. Ha rapporti solidi con la Russia, ma li ha anche con l’Ucraina. Ha relazioni robuste con l’Egitto e nonostante le prese di posizione in difesa di Hamas, dopo l’inizio della guerra a Gaza, non ha interrotto gli scambi commerciali con Israele. Al tempo stesso, però, sta cercando di proporsi agli occhi del mondo arabo come difensore dei diritti dei palestinesi.
Il presidente turco Erdogan – Fonte: ANSA
Un’altra grande ambizione di Erdogan è di entrare nello Sco (Shanghai Cooperation Organization), ovvero nell’organismo intergovernativo fondato nel 2001 dai Capi di Stato di sei Paesi: Cina, Russia, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan e Uzbekistan.
Con l’ingresso dell’Azerbaigian nei Brics, invece, si concretizzerà il suo definitivo riconoscimento di nuovo status di media potenza a livello internazionale e questo avverrà nello stesso anno in cui Baku organizza la Cop29 sull’ambiente (novembre 2024). L’Azerbaigian, come altri membri dei Brics, produce petrolio. Allo stesso tempo però calerà la sua carta per influire nell’agenda mondiale della lotta al cambiamento climatico.
La Malesia spera di poter entrare nel gruppo per essere più libera di agire nei suoi rapporti commerciali, così da presentarsi come ponte tra i Brics e l’Asean. Come si è visto l’anno scorso nel caso dell’Algeria, però, il peso dei singoli stati nelle decisioni finali sul fatto di accettare o meno la candidatura a entrare nei Brics è piuttosto discrezionale. Basti pensare che la lettera di richiesta della Malesia è stata presentata alla Russia e non a un organo dei Brics, segno inequivocabile che la decisione da parte di questo “club” è influenzata dagli interessi specifici del Paese che in un determinato anno detiene la presidenza di turno (nel 2024, come dicevamo all’inizio, è la Russia). Questo tipo di dinamica incide sul processo di allargamento e chiama in causa anche la natura stessa dei Brics, ovvero il fatto di rappresentare un’alternativa alle omologhe organizzazioni occidentali.
Da notare che per la prima volta nella storia dei Brics il volume di utilizzo delle valute nazionali per i pagamenti tra i Paesi di questo gruppo ha superato il volume delle transazioni in dollari americani.
Daniela BLU