Per la prima volta nella Repubblica del Centro America ci sarà una donna al Potere

Come in un immaginario Corrido, tipica ballata messicana dell’epoca rivoluzionaria, la vittoria di Claudia Scheinbaum Pardo è giunta rapida e superiore alle aspettative. Per la prima volta, infatti, la Repubblica del Centro America sarà guidata da una donna, che già nel suo discorso inaugurale ha delineato quale sarà il futuro che immagina per il popolo messicano. Innanzi alla folla dei suoi sostenitori, convenuti presso lo Zocalo, cuore pulsante della principale piazza della capitale, la “Doctora” (come la chiamano amici e avversari) ha ringraziato quanti si sono spesi in questi mesi per rendere possibile questo risultato storico. A cominciare dalle donne, a cui la presidente in pectore ha voluto dedicare questa vittoria, promettendo radicali cambiamenti in tema di parità di genere e lotta alle discriminazioni.

Attualmente, il Messico è la Nazione dell’America latina con il più alto numero di femminicidi, a fronte di una media di circa mille delitti l’anno. A nord, nella zona controllata dai Narcos, la situazione è ancora più critica. Nella sola Ciudad Juarez, al confine con gli Stati Uniti, si stima che negli ultimi trent’anni siano morte più di duemila donne, con buona pace di una giustizia che ha rinunciato da tempo a perseguire tali inauditi crimini. A ciò si aggiungono i problemi causati dalla corruzione e dal narcotraffico, che rappresenta oggi la principale emergenza nazionale. I cartelli controllano, non a caso, ampie zone del confine settentrionale e influenzano negativamente la politica locale.

Proprio in questi mesi, infatti, decine di amministratori sono stati assassinati dai trafficanti, oltremodo ostili al progetto riformista caldeggiato dalla neoeletta presidente. Riforme già avviate dal suo predecessore e mentore, l’attuale presidente Andres Manuel Lopez Obrador. Pur godendo di un alto tasso di popolarità, Obrador ha rinunciato a candidarsi nuovamente, in conformità a quanto previsto dalla Costituzione messicana.

Fonte: Physics World

Tuttavia, è assai probabile che continuerà ad avere importante voce in capitolo nelle scelte del nuovo esecutivo. A cominciare dall’economia, che sotto il suo governo è migliorata, rendendo il Messico nuovamente attrattivo per gli investitori stranieri. Solo nel 2023, l’economia nazionale è cresciuta del 3,2%, permettendo a oltre otto milioni di cittadini messicani di uscire dall’indigenza. Un fattore che, se si confermasse negli anni a venire, potrebbe rendere il Messico la nuova fabbrica del mondo, arginando così la piaga dell’emigrazione verso gli Stati Uniti. Proprio questa è stata oggetto di feroci dispute con l’amministrazione americana nell’ultimo decennio. Ecco, perché, le elezioni di novembre negli Usa sono viste da qui con grande interesse.

Dal loro esito dipenderà non solo la qualità delle relazioni diplomatiche fra i due Paesi, ma anche la stabilità di un continente variamente in crisi. Tuttavia, su tali sfide, la “Doctora” sembra avere le idee chiare e le spalle larghe abbastanza per affrontarle. Reduce da una brillante carriera scientifica e forte di una consolidata esperienza politica, la prossima presidente è da più parti considerata l’alterego latino di Angela Merkel. Già da sindaco della capitale ha infatti dimostrato una tempra fuori dal comune.

Durante il suo mandato, Città del Messico ha registrato un calo costante del tasso di criminalità e un deciso incremento degli investimenti, soprattutto nel settore immobiliare. Più di ogni altra, essa è riuscita a tradurre in pratica le politiche concilianti di Obrador, adottando verso i clan della malavita il metodo “del bastone e della carota”. Inoltre, è riuscita ad affermarsi quale leader credibile di un partito di sinistra (Morena), in una nazione ancora fortemente maschilista. Tanto che, nonostante il risultato ottenuto non lasci spazio ai dubbi, c’è chi ha sollevato alcune perplessità riguardo alla legittimità dell’esito elettorale.

Le obiezioni più stringenti sono pervenute sia dall’opposizione di centrodestra (Pan) sia dal centrista Partito rivoluzionario istituzionale. Quest’ultimo, dopo aver governato per oltre settant’anni il Paese, non è più riuscito a esprimere un elite dirigente degna della situazione. In particolare, a seguito della sfortunata esperienza governativa di Enrique Pena Nieto, il partito ha progressivamente perso consenso presso i propri elettori, diventando la terza forza politica dello Stato. Quelli che un tempo erano i suoi elettori, diretti discendenti di quanti hanno partecipato alla Rivoluzione messicana di Pancho Villa e Emiliano Zapata, imputano al Pri di aver, con metodi poco trasparenti e autoritari, impoverito la repubblica, rendendola ostaggio delle bande criminali.

Una polemica che ha contraddistinto gran parte di questa campagna elettorale e che quasi certamente continuerà a polarizzare il dibattito interno messicano. Idem per il rapporto con gli Stati Uniti. La volontà di Joe Biden di collaborare con la nuova presidente, rinsaldando i rapporti di amicizia fra i due Paesi, potrebbe essere facilmente sconfessata se, alle presidenziali di novembre, vincesse Donald Trump. Il Tycoon ha già dichiarato di essere pronto a tutto pur di tutelare il confine meridionale degli Usa, anche a una guerra con il Messico.

Un evento che, qualora si realizzasse, avrebbe conseguenze catastrofiche per l’intera regione e che vanificherebbe istantaneamente due secoli di dialogo fra le due opposte sponde del Rio Grande.

Gianmarco Pucci

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