L’astensionismo è solo la spia di un problema: l’incapacità di ottenere i voti di alcuni strati di popolazione e di dare loro una risposta efficace

Le recenti elezioni regionali ci hanno detto due cose: la destra ha vinto nuovamente ed il trend dell’astensionismo è in continua crescita. Il punto su cui si sta sviluppando il dibattito politico post-elettorale è proprio su come questi due eventi siano in correlazione tra loro, o meglio, se tra essi ci sia effettivamente un legame. In sintesi, la destra ha vinto perché la maggior parte degli elettori non ha espresso il proprio voto e quindi non può essere considerata maggioranza nel Paese?

Per provare a rispondere, partiamo da qualche dato.

Le lezioni regionali appena svoltesi hanno visto registrarsi dati sull’affluenza quasi mai visti. Nel Lazio questa tornata elettorale ha ottenuto il record per il maggior tasso di astensionismo: solamente il 37,2% degli aventi diritto si è recato alle urne, una percentuale mai registrata né nel Lazio né nelle altre regioni. In questa speciale classifica la Lombardia si posiziona in terza posizione, con il 41,7% di votanti.

Comparando questi dati con quelli delle scorse elezioni regionali negli stessi territori, lo scenario è decisamente sconcertante. Tuttavia, è da osservare che nel 2018 e nel 2013 le regionali si sono svolte contestualmente alle nazionali e questo ha finito per attirare più elettori. Cosa, invece, non avvenuta per questa tornata, che ha visto i cittadini di Lazio e Lombardia chiamati nuovamente alle urne a brevissima distanza dalle elezioni nazionali dello scorso 25 settembre, senza dunque una grande campagna elettorale. Sicuramente però questi dati assumono particolare rilievo se analizzati alla luce di quelli dello scorso 25 settembre, quando si è registrato a livello nazionale il più alto tasso di astensionismo nella storia repubblicana.

Fonte: Globalist.it

Tutto ciò rappresenta inevitabilmente un segnale di allarme per le istituzioni italiane, ed evidenzia una sempre più diffusa sfiducia nella classe politica attuale che non si è rivelata in grado di dare risposte concrete alle esigenze dei cittadini. Tuttavia, è sempre bene ricordare come l’astensionismo sia uno dei molti elementi che distinguono i regimi democratici da quelli non democratici ed un certo grado di astensionismo è fisiologico.

Quello su cui però occorre interrogarsi è se esso sia uno dei fattori della vittoria della destra e se quindi questo fenomeno possa essere utilizzato dalle parti politiche che escono sconfitte (oggi la sinistra) per ridimensionare la vittoria altrui. Stando al dibattito che si sta sviluppando, appare che il centro-destra non sia maggioranza nel Paese perché la maggioranza dei voti è stata ottenuta su una ristretta quota di votanti. Questa conclusione però parte dal presupposto, errato secondo chi scrive, in base al quale tutti coloro che non hanno esercitato il diritto di vota siano di sinistra. Senza scomodare teorie sociologiche sul comportamento degli elettori, è intuitivo pensare che gli astenuti siano generalmente insoddisfatti della proposta politica attuale ed è impossibile collocarli a sinistra o a destra. Oppure, altra soluzione, molti non hanno votato perché convinti della vittoria del centrodestra.

Per questi motivi, l’utilizzo del fenomeno astensionistico per giustificare la sconfitta elettorale è, ad opinione di chi scrive, fuorviante e inutile; anzi, denota un’altra tendenza della classe politica: l’incapacità di assumersi le proprie responsabilità.

Infatti, anche ponendo che la maggior parte degli astenuti sia di centro-sinistra (come è possibile che sia), la sinistra non riesce ad andare oltre la semplice constatazione di questo fatto, senza indagare sul perché ciò avvenga.

L’astensionismo, infatti, è solo la spia di un problema più grande, ovvero l’incapacità di ottenere i voti di alcuni strati di popolazione e di dare loro una risposta efficace da parte di una classe dirigente che ha governato per anni. E probabilmente, ha governato peggio di quanto pensi.

Giulio Picchia

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