Pro e contro di una “città 30”

A 100 all’ora ci andava Gianni Morandi, una velocità pazzesca per i tempi che furono. Oggi a 100 km/h le auto, sempre più performanti in termini di potenza, sicurezza e consumi, quella velocità la raggiungono in un istante. Lo stesso istante che spesso diventa fatale, quando guardiamo lo smartphone, o sopraggiunge un pedone, un ciclista e c’è solo quell’attimo per fare la differenza tra una collisione ed un pericolo sventato.

Si parla tanto dell’introduzione a Bologna del limite di 30 km/h, una misura definita “città 30” che di fatto segue tante iniziative di molte città europee e tante altre italiane. Infatti, è sul termine e sull’applicazione della misura che andrebbe fatta chiarezza.

La “città 30” è una trovata comunicativa per rendere, a torto o ragione, più suggestiva la misura, che in realtà si traduce, nella più rigida delle sue applicazioni, ad un limite proposto a non più del 70% delle strade urbane. Si, “proposto” è il termine migliore da utilizzare, perché tra un limite ed il suo rispetto ci sono i controlli, le sanzioni, la fattibilità.

Moltissime città italiane, invero, hanno già limiti di velocità fissati a 30 km/h. Limite posto in modo oculato nelle zone scolastiche, a forte utenza pedonale, in prossimità di parchi, attraversamenti.

La valutazione di una riduzione a 30 km/h dipende dal contesto in cui è applicato e dagli obbiettivi che si vogliono raggiungere. Vediamo quali sono i pro e i contro.

Fonte: Today

In termini di sicurezza stradale, riducendo la velocità, si riducono anche le probabilità di incidenti stradali e si limita la gravità dei danni in caso di collisione. Stando ai dati, con il limite a 30 km/h, il rischio di incidenti mortali per pedoni e ciclisti diminuisce di 8 volte e quello di morte è del 10%, paragonabile ad una caduta da un primo piano. Un limite di velocità più basso è particolarmente importante nelle zone ad alta densità di pedoni e ciclisti, come le aree residenziali o le zone scolastiche, poiché riduce il rischio di incidente e relativo danno causato.

Una velocità moderata, in maniera forse troppo semplicistica, riduce sia il rumore prodotto dai veicoli che le emissioni di gas serra e inquinanti atmosferici, a condizione di fluidità del traffico e di conduzione del mezzo ai giri di marcia opportuni.

Tuttavia i limiti vengono, o dovrebbero essere, imposti, sulla base di principi di adeguatezza e proporzionalità al contesto e alle esigenze di mobilità. Se troppo stringenti, i limiti possono incidere sulla fluidità del traffico, sovente compromessa. Non dimentichiamoci, infatti, che stando ai dati di Go Mobility, del centro dati di UnipolSai e di TomTom traffic index, la velocità media urbana in Italia è di 27 km/h ed in alcune città, tra queste Milano, reputata 5° più congestionata al mondo, si viaggia alla media di 19 km/h.

In definitiva, ciò che appare un limite legittimo in determinate aree, rischia di essere una misura massimalista e controproducente se applicata senza dovuti accorgimenti.

Sarebbe un po’ come sostenere che in autostrada si possa andare a 130 Km/h, a prescindere se ci si trova sulla Napoli-Roma a tre corsie o in Abruzzo, sulla A14, dove in determinati tratti, tra salite, discese e curve ostiche, è imposto un limite più congruo di 110. Immaginate anche il viceversa.

Sottrarsi da un duello dicotomico tra automobilisti e pedoni/ciclisti, ricordando a noi tutti di essere al contempo gli uni e gli altri, significa soffermarsi sulle regole utili al raggiungimento di un equilibrio che non si ottiene certo solo con la diminuzione della velocità, ma con il buon senso nell’evitare distrazioni, nella manutenzione e negli investimenti in sicurezza stradale, nell’educazione, nella formazione e nel rispetto delle norme.

È evidente, dunque, che sia più opportuno adeguare le città con aree 30, dotandole dei dovuti accorgimenti, che ne rendano effettiva l’applicazione, piuttosto che buttarla in caciara verso una dimensione di città 30, ideologica, massimalista, poco pratica.

Alberto Siculella

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