Brega, assieme ad Elena Fabrizi meglio conosciuta come “Sora Lella”, è stato un simbolo di una filosofia di vita e di un linguaggio oggi scomparsi

Correva l’anno 1923 e in una Roma che potremmo definire in “bianco e nero”, nasceva un bambino destinato, in età adulta, a diventare un simbolo della romanità: Mario Brega.

Questo nome suscita nel cuore di chi ama e conosce l’Urbe oltreché le storie cinematografiche ad essa legate, un sussulto anche perché Brega, assieme ad Elena Fabrizi meglio conosciuta come “Sora Lella”, è stato un simbolo di una filosofia di vita e di un linguaggio ormai scomparsi.

Il 25 marzo scorso, in via Oderisi da Gubbio, al civico 18, è stata posta una targa in ricordo del centenario della nascita di questo ultimo grande caratterista. Qui l’attore ha vissuto per trent’anni sino al giorno della sua scomparsa, avvenuta il 23 luglio 1994. Presenti alla celebrazione, il Sindaco di Roma, Roberto Gualtieri e l’attore/regista Carlo Verdone. Fu proprio quest’ultimo a far conoscere al grande pubblico la figura di Mario Brega.

Fonte: Agenzia Dire

Era la fine degli anni ’70 ed il giovane Carlo incontrò, a casa del suo “padrino” cinematografico Sergio Leone, questa figura che incuteva timore e rispetto sia per la mole, sia per il linguaggio. Verdone rimase così colpito dall’atteggiamento di Brega al punto da proporlo a Leone in quella che sarebbe stata la sua prima pellicola, ovvero “Un sacco bello”, affidandogli il ruolo del padre di Ruggero, il figlio dei fiori. Un contrasto meraviglioso, un’alchimia vincente.

Da quella pellicola ne seguirono altre, entrate nel cuore degli amanti della celluloide: “Bianco, rosso e Verdone”, “Borotalco” e “Troppo forte”. Come raccontato dallo stesso Carlo, “Brega non era una persona facile da dirigere: bastava una parola detta o interpretata male per mandarlo su tutte le furie. Era, però, sé stesso, come Elena Fabrizi. Un uomo che non aveva paura di niente e che conosceva anche i codici di una certa “mala” capitolina. Sul set non faceva altro che portare la propria vita ed il proprio essere”.

I rapporti tra i due si freddarono quando l’attore/regista non lo chiamò più per i successivi film, non per cattiveria ma per esigenze “di copione”; il cast viene formato in base alla trama e non è detto che un attore, seppur bravo, possa essere sempre inserito in una storia.

La figura di Brega è legata anche ad un altro “cult” del cinema anni ’80: “Vacanze di Natale”. Qui, nel ruolo del padre di Claudio Amendola, il nostro Mario si ritrova a Cortina, meta sciistica dell’alta borghesia e, nella sua spontaneità, non mancherà di far notare i difetti di un luogo che, apparentemente, appare come il paradiso delle Dolomiti. “Pensa che co’ quello che m’è costata ‘na settimana qui a Cortina, a Ovindolo ce stavamo bene du’ mesi, ce stavamo bene!”, è solo una delle tante battute della pellicola e, più in generale, delle frasi dette nei vari film che ormai sono parte della memoria di tutti noi. Le olive “greche”, “er presciutto” che era “’n zucchero” e il doppio pugno chiuso che accompagnava la frase esplosiva “…io nun so’ communista così. So’ communista cosììììììì!!!!” sono ormai un lessico che romani e non hanno fatto proprio.

Fonte: Sky TG24

Un evento, dunque, significativo per una “maschera” di Roma che, nostalgicamente, ci riporta ad una Città che oggi non esiste più.

Stefano Boeris

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