Sul nostro territorio nazionale sono state chiuse più di 2.000 cinema negli ultimi venti anni, solo a Roma oltre 100 sale di cui più di 50 in tempi recenti

I lavori di ristrutturazione e restauro della GIL Trastevere hanno fatto nascere un dibattito che parte dal progetto alla realizzazione. Anche se è concettualmente sbagliato dividere l’intervento in due parti distinte nella pratica questo è avvenuto e ha contribuito a delle scelte progettuali che hanno suscitato una viva critica che sarà molto utile nell’approccio al restauro del moderno e soprattutto in considerazione del restauro del Parco del Foro Italico per il quale sono stati destinati altri 80 milioni di euro. Foro Italico significa Del Debbio ma soprattutto, a mio avviso, la Casa delle Armi di Luigi Moretti.

Ma torniamo alla GIL Trastevere ed in particolare alla Sala Troisi nata come sala teatro a partire dagli anni ’50: è stata trasformata in sala cinema ed è la parte che ha subìto più manomissioni e da questa destinazione che bisogna partire per fare delle valutazioni sul tema del riuso come fase successiva a un restauro filologico. Occorre fare un discorso più ampio sulle sale cinematografiche.

Sul nostro territorio nazionale sono state chiuse più di 2.000 cinema negli ultimi venti anni, solo a Roma oltre 100 sale di cui più di 50 in tempi recenti. Questo fenomeno, che ha eliminato questi luoghi di aggregazione e di esperienza collettiva, deriva sia da una sempre maggiore fruizione televisiva del film ma anche da una presunta valorizzazione comunicativa e relazionale del ruolo della sala ipertecnologica, trasformando così la visione del film in evento audiovisivo.

Non è casuale che spesso, dopo pochi giorni in sala, i film vanno sulle piattaforme tv, mentre, nonostante la pandemia, i teatri registrano una buona affluenza di pubblico. È sul palcoscenico teatrale che ogni sera avviene realmente un evento perché sempre unico. Questi aspetti generano delle diseconomie che non vengono risolte con le multisale, operazione che ha contribuito alla perdita di opere come il cinema Madison e Alcyone (ora Lux) di Riccardo Morandi e alla chiusura di sale minori. Sono convinto che i cinema rappresentino un “bene comune” di condivisione culturale e anche luogo della memoria collettiva, da restaurare, recuperare e conservare attraverso il riuso rapportato alla struttura e alla storia dell’immobile nel contesto urbano.

Per dovere di cronaca ricordo che nelle immediate vicinanze della GIL Sala Troisi ci sono le sale America, Roma, Reale, Pasquino chiuse, l’Alcazar attrezzato per musica live, teatro, arte, proiezioni d’essai e ristorante, il Garden sala bingo, il Nuovo Sacher e Intrastevere, funzionanti. Mi suggeriva l’architetto Ugo Carughi, già presidente di DOCOMOMO che “l’opera (la sala cinema) va vista come parte di una serie di altre opere con medesima funzione, eseguite da diversi autori in un comune clima culturale; tutte assieme costituiscono un ben riconoscibile segmento del patrimonio del ‘900 romano, all’interno del quale ogni opera non vale solo di per sé, ma in rapporto a tutte le altre. Attraverso tale rapporto è possibile ricostruire il ruolo e il carattere di ognuna di esse e, dunque, storicizzarle. L’intervento di aggiornamento e restauro va oltre i limiti materiali della struttura, alla dimensione urbanistica. Si tratta di ‘restauro urbano’ prima che architettonico; anzi, quest’ultimo non avrebbe alcun significato se non rapportato alle esigenze economiche, funzionali, sociali e gestionali dell’opera e se quest’ultima non fosse riferita al contesto urbano e alle sue successive trasformazioni. La sola sala cinematografica avrà delle difficoltà a sopravvivere con questo trend” Quasi tutti i ‘contenitori’ cinema sono privati e non della distribuzione o delle case di produzione, quindi l’aspetto economico è fondamentale. Una soluzione perseguibile è la trasformazione in hub polifunzionali che oltre a una sala cinema-teatro contengano dai servizi sociali ai laboratori teatrali e artistici, sale musicali e di danza, sale studio, media-biblioteche, spazi coworking e per start up, spazi per la ristorazione, workshop e conferenze, ma anche abitazioni.

I cinema Maestoso e Alcyone erano un esempio, e il cinema Impero è andato in questa direzione. Tutte realtà collegate tra loro ma economicamente autonome e calibrate ‘caso per caso’, alle quali necessita il contributo della legge Franceschini e delle norme edilizie migliorate e adeguate. La Sala Troisi, viste tutte le lotte fatte dall’Associazione Piccolo America rispecchia le loro encomiabili intenzioni?  È un hub o è solo una delle sale cinema standard di Roma con un bar all’entrata e una ridotta sala di lettura, ricavata in quello che era un percorso di distribuzione che portava alle aule? Eppure, la GIL Trastevere era un edificio razionalista polifunzionale. 

Afferma Deyan Sudjic  “In ogni cultura, per poter realizzare le proprie creazioni, gli architetti hanno dovuto stabilire un rapporto con i ricchi e i potenti per realizzare le loro opere”. In realtà è un rapporto bidirezionale tra Politica e Architettura evidenziatosi di nuovo dopo ottantacinque anni per la GIL Trastevere, dove la politica ha utilizzato l’architettura per manifestarsi nel concreto facendo prevalere la sequenza immagine/destinazione d’uso/restauro e non l’inversa. I due proprietari, Regione Lazio e Comune di Roma, obsoleta la damnatio memoriae della GIL, consci della sua importanza ne hanno portato avanti la ristrutturazione senza un piano unitario di recupero e riuso interfacciato con un restauro filologico, accentuando così una dicotomia evidenziata con angolazioni differenti da Luigi Prisco, Simona Salvo, Rosalia Vittorini, Milena Farina e Sergio Martin Blas.  

Un progetto redatto insieme da Regione Lazio e Comune di Roma, avrebbe dato esiti differenti? Penso che al fine di un restauro filologico e finalizzato al riuso sarebbe stato positivo ma anche in questa stato di separazione dal punto di vista progettuale le possibilità di evocare il progetto originale era possibile. Immagino che il progetto della Sala Troisi derivi dalla valutazione di totale autonomia dal corpo di fabbrica, dall’irreversibilità dello stato del luogo e dalla sua storicità acquisita come cinema di quartiere. Non credo che la valenza storica delle demolizioni e il trascorso utilizzo siano i soli e prevalenti criteri progettuali valutabili per un restauro fatto in rapporto alla rilettura di tutto l’edificio. La documentazione d’archivio è tale da consentire un ripristino sia filologico e sia per verosimiglianza. La galleria asimmetrica, raccordo visivo e funzionale con gli ambienti del primo livello, sottolineata anche dalle modanature orizzontali del parapetto, contrastava ed esaltava l’orditura del soffitto dove la luce proveniente dai lucernari evidenziava i graffiti parietali di Achille Capizzano.

Prendendo spunto dall’intervento di Cervellati al San Filippo Neri di Bologna, penso a uno squarcio nel rivestimento fonoassorbente per rileggere il rapporto tra galleria e soffitto e pareti, immagino il pavimento in linoleum rosso e alcune sedute in legno, magari le vetrate insonorizzate e oscurabili. Sono questi elementi che avrebbero evocato, informato e incuriosito lo spettatore suggerendogli che la Sala Troisi ha una storia diversa da altre sale cinema formalmente simili.

Il prospetto della GIL su via Induno è una sequenza dinamica di altezze, di superfici trasparenti e opache, interrotta da un grande vuoto che “aspira” l’osservatore verso l’interno. Questo vuoto era l’entrata laterale, non secondaria, e smistava i giovani balilla verso gli ambienti GIL e ora vi è stato collocato il bar. Tale scelta ha definitivamente sancito che il cinema Troisi non fa più parte della GIL, ha cancellato la memoria di quegli assi, quasi un cardo e un decumano, che partendo da largo Ascianghi e da via Induno, intersecandosi proprio dove è ora il bar, univano visivamente e funzionalmente tutti gli spazi del piano terra e le scale ‘cerniere’ per i livelli superiori.

Oggi stride vedere al pianoterra un moderno bar e al livello superiore il grande lucernario del salone del comitato che si affacciava sul salone d’onore. Citando formalmente quei passaggi si ripristinava il ricongiungimento filologico-evocativo delle due parti e quella continuità spaziale cosìevidente nella pianta e sezione originali. L’approccio progettuale per il restauro del parco del Foro Italico ha una similarità con la GIL, quella di una visione generale delle problematiche.

Si parla di Hub community “uno spazio innovativo, digitale, aperto a tutti – spiega nel dettaglio Cozzoli – aggregatore di contenuti ed emozioni che verranno vissute tutto l’anno. Viale dell’Obelisco, il complesso ex Civis edificio B, le ex foresterie Sud, lo stadio dei Marmi, l’ex palazzo delle terme, lo stadio del nuoto e l’ex accademia di educazione fisica verranno restaurati e rifunzionalizzati.” (Estratto da RomaToday). Se fosse come descritto su alcuni giornali è pericolosamente generico. In realtà è un progetto impegnativo e complesso dove in realtà le difficoltà sono molte e sono strettamente collegate sia dal punto di vista filologico e sia gestionale e tecnico. Gli edifici sono utilizzati in maniera differenziata dal CONI, dalla RAI, dall’ISEF, oltre agli impianti sportivi di piscine e tennis. Per esempio, lo stadio del calcio, errato come progetto in quanto ha mantenuto ben poco del catino originario e alterato il rapporto con la collina di Monte Mario, è oggettivamente impattante visivamente e funzionalmente, ma non risolvibile. Lo spazio innovativo e digitale comprenderà anche recinzioni, accessi, parcheggi, illuminazione, essenze arboree, restauro di marmi, mosaici, intonaci, pavimentazioni, colori, ecc. previo adeguato studio d’archivio e con le giuste tecniche?

In un limbo sta la Casa delle Armi, opera tra le più significative del Razionalismo Italiano, sulla quale molto si discute ma ancora nulla è stato fatto, e che ha subito moltissime manomissioni e versa in un pericoloso stato di degrado. Dovrebbe essere destinata a museo multimediale di tutto ciò che riguarda lo sport. Capisco che la proprietà, il CONI, voglia autocelebrarsi in questo luogo che come solo evento sportivo mondiale ospita dal 1949 ogni anno gli Internazionali di Tennis.

Esistono in Italia e anche all’estero musei dello sport ma per disciplina e in spazi adeguati dimensionalmente. Immaginare un museo per tutte le discipline sportive sarebbe meraviglioso ma occorre uno spazio notevole. Il fatto che sia multimediale non prescinde altrimenti basterebbe metterlo solo on line. Mi sembra che già nel 2007 i Beni Culturali e il Comune di Roma avessero commissionato un progetto per un museo dello sport a Tor Vergata e adesso si pensa alla Casa delle Armi. Ma è necessario? Come è necessario chiudere con delle vetrate le palestre all’aperto della GIL? La piscina all’aperto cosa diventerà?

La Regione Lazio e soprattutto il Comune di Roma nonostante il patrimonio immobiliare hanno carenza di spazi. In tutta questa confusione non è ben chiaro il ruolo che avrà la Soprintendenza che all’epoca acconsentì, obtorto collo, all’aula bunker e allo stadio del calcio. Nel caso GIL, oggi, non c’è stato piano di conservazione unitario, nel caso del Foro Italico lo pretenderà? Penso di sì, poi sull’attuazione di esso è un altro capitolo.

La Casa delle Armi ha una sua autonomia storica, culturale e architettonica che può esistere come un’icona senza nessuna funzione aggiunta, parere questo che è stato già proposto e condiviso da molti eminenti studiosi. A mio modesto avviso l’unica piccola traccia storica che dovrebbe essere conservata in questo difficilissimo restauro, è quella dell’aula bunker, irrispettosa della storia dell’edifico ma memoria di un periodo drammatico della storia democratica del nostro paese.

Nel muro della stazione di Bologna lo squarcio provocato dall’esplosione dell’attentato fascista è lì per non essere dimenticato. Riguardo al museo dello sport potrebbe essere interessante valutare l’ipotesi degli spazi ex caserme di fronte al MAXXI o di alcune parti dello stadio Flaminio, per il quale è stato fatto già un esauriente piano di conservazione. Si arricchirebbe l’asse storico-culturale che partendo dal Foro Italico, attraversando il ponte della Musica e passando davanti al MAXXI arriva all’Auditorium.  Questo piano di conservazione è un esempio virtuoso da seguire per i progetti di restauro, riuso e manutenzione del patrimonio architettonico del Novecento.

Se il restauro del Foro Italico fosse fatto seguendo questo esempio Moretti non si preoccuperebbe.   

Paolo Verdeschi

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