La palazzina Federici in via San Crescenziano a Roma

Cambiare il colore dei capelli, di un vestito o delle pareti della propria casa è sicuramente lecito e ben vengano se servono a gratificare chi decide questi cambiamenti cromatici. A nessuno di noi, persone rispettose delle scelte degli altri, verrebbe senza nessun motivo specifico il desiderio di cambiare arbitrariamente il colore dei capelli dell’inquilina del piano sotto o cambiare il colore dell’appartamento dell’inquilino del piano di sopra.

Tutto ciò non avviene soprattutto perché abbiamo ben chiaro cosa significa rispettare. Allora se siamo rispettosi delle altrui scelte cromatiche perché non rispettiamo gli architetti che hanno progettato un’immobile stabilendo quali dovessero essere i suoi colori? Tanti i casi romani di errate cromie nel restauro dei prospetti e tra questi la palazzina Federici in Via San Crescenziano n.40, opera degli architetti Vincenzo Monaco e Amedeo Luccichenti, realizzata negli anni 1951-1954.

Fonte: Archivio Paolo Verdeschi

La loro collaborazione inizia intorno al 1936-37 fondando uno studio che esprimerà un nuovo modo di fare architettura contrassegnato dal lavoro di gruppo di vari specialisti impegnati a dare un prodotto di qualità affrontando tutti gli aspetti del progetto, e quindi anche il dialogo con l’arte, Giuseppe Capogrossi, Nino Franchina, Gino Severini, Pietro Consagra sono chiamati per inserire le loro opere nei progetti. Nella palazzina Federici Pietro Consagra decora con “marmette” bianche e nere il terrazzo di copertura delle autorimesse e arricchisce l’androne con delle incisioni su travertino.

Fonte: Archivio Paolo Verdeschi

La critica per anni è stata ingenerosa con questi bravissimi professionisti liquidandoli con l’appellativo di palazzinari, in realtà sono stati tra gli interpreti più significativi dell’architettura italiana del filone del movimento moderno contribuendo ad affermare l’identità e la qualità dell’architettura negli anni della ricostruzione e dello sviluppo economico e industriale del nostro paese.

La Federici, costruita lungo via Salaria, ma a una quota di dodici metri più alta del livello della strada, rientra nella tipologia delle “palazzine signorili” per la committenza altoborghese ma lo schema distributivo, due appartamenti a piano, quasi 350mq per sei livelli, si allontana dalla palazzina a blocco e declina verso la casa in linea. Le abitazioni con ingresso principale e di servizio, all’epoca si progettava l’appartamento con alloggio per il domestico, hanno il salone di rappresentanza e la camera da letto principale rivolte a Villa Ada mentre le altre stanze e i servizi si affacciano su via di San Crescenziano. Anche questa, come le palazzine di Ugo Luccichenti di piazzale delle Muse e di via Trionfale si “allargano” sul paesaggio rendendolo un elemento del progetto, le finestre a nastro di derivazione Lecorbusiana, e le logge con i balconi che modellano la facciata evidenziano questa volontà espressiva.

L’accesso alla palazzina avviene da via di San Crescenziano, strada privata leggermente curvilinea, alla quale si adatterà il corpo delle autorimesse e che servirà da unione con la palazzina Domus sempre progettata da Monaco e Luccichenti con la collaborazione di Julio Lafuente. La cerniera che unisce il blocco abitativo con le autorimesse è il corpo scala dall’originale forma romboidale a cui si accede dall’androne, dove ampie vetrate inserite i leggerissimi infissi di colore bianco e blu e pareti di colore grigio-celesti e rosso mattone compongono uno spazio di grande raffinatezza.

Gli infissi erano di legno, pino di Russia finiti con smalto trasparente. Le tapprelle erano sempre in legno di colore verde. La ringhiera della scala con il corrimano in ottone lucido completa egregiamente l’insieme. Quest’opera è esposta nei disegni e foto originali nella mostra al MAXXI “Architetture a regola d’arte” e la prima cosa che si evidenzia è il cambio di colore che ha subito nel corso degli anni. Era nata di colore bianco, intonaco realizzato con calce, polvere di marmo e grassello, come molte opere di quel periodo che forse risentivano dei marmi del razionalismo, sul quale spiccavano gli infissi leggeri in ferro smaltato blu con i fermavetro smaltati bianchi.

L’intero complesso vive sul contrasto tra la semplicità del parallelepipedo che costituisce l’edificio e le articolazioni plastiche degli elementi accessori, quali le logge da cui fuoriescono i balconi dalla originalissima struttura nervata a spina di pesce e con i parapetti curvi e rivestiti con mosaico viola, il corpo scala di forma romboidale, il piano unico delle autorimesse con la soprastante pavimentazione di Pietro Consagra.

Insomma, un’architettura raffinata basata sull’aggregazioni di parti, il corpo principale, il corpo scala e il corpo delle autorimesse sapientemente modellati attraverso bucature e colorazioni. Oggi è singolare che questo edificio, che per mero errore non è stato inserito nella Carta della Qualità del P.R.G. del Comune di Roma, è stato ridipinto di un colore giallo ocra. Ma non solo, l’interno della scala, pur tentando di attenersi ai colori originali delle parti murarie, sono stati ricoperto con il tremendo “graffiato” al quarzo plastico che rende cupo e pesante l’aspetto di tutto il vano scala.

Fonte: Archivio Paolo Verdeschi

Alcuni infissi in ferro, sottili e leggeri, sono stati sostituiti con altri di alluminio, di sezione molto maggiore, e di un colore distante dall’originale. Nel corso degli anni, la palazzina è stata ritinteggiata due volte se guardiamo gli strati di colore sovrapposto e non si capisce il motivo del sempre più scuro. Dal bianco originale al beige chiaro e poi il giallo ocra.

Mi resta veramente difficile comprendere le motivazioni che hanno spinto i condomini della palazzina Federici a deturpare la palazzina con il colore giallo ocra. È una mancanza di rispetto o la non conoscenza della storia e delle qualità architettoniche di questa opera? Forse entrambi. Certamente occorre un’opera di sensibilizzazione presso i proprietari degli immobili di qualità e ben vengano i siti come Il Contrafforte o la rivista Panteon e tutte le chat che trattano dell’architettura italiana del periodo razionalista e degli anni ’50 e ’60.

Fonte: Archivio Monaco e Luccichenti al MAXXI

Ancora una volta insisto sulla necessità di realizzare i Piani di Conservazione, sia per edificio che per autore e diventino parte integrante della Carta della Qualità del P.R.G. di Roma, parallelamente attivare degli incentivi per i condomini che si muniranno del piano di conservazione.

Questo strumento che comprenderà tutte le informazioni, storiche e tecniche, consentirà di conservare queste opere così come sono state progettate e a noi pervenute.

Paolo Verdeschi

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