Non serve un liceo o la propaganda sovranista, servono idee, regole e fatti, magari in Italia

Alcuni studi internazionali rivelano che il marchio Made in Italy gode di una riconoscibilità pari ai primi sette brand del mondo. Coca-Cola, Visa, McDonalds. Per dirne alcuni. 

Tra questi, appunto, il Made in Italy rappresenta un marchio di grande appeal, in cui il consumatore riscontra, o dovrebbe riscontrare, fattori produttivi tipici della materia prima, dell’ingegno e del saper fare italiano. 

Fonte: Wikipedia

Mentre si riaccende il dibattito sull’importanza della tutela di uno dei marchi più contraffatti al mondo, il Governo italiano vaneggia con strampalate idee di tutela della lingua italiana, tramite sanzioni a chi utilizza inglesismi nella pubblica amministrazione, per poi rilanciare l’idea del Liceo, guarda caso in inglese, del Made in Italy, cadendo nella contraddizione che chi ha nozioni di management dovrebbe evitare.

Il paradigma Glocal, agire locale, pensare globale, è di fatto la risposta a tutto questo inutile rumore.

Al di là, e lontano da ogni forma di inutile e sterile dibattito propagandistico, il Made in Italy da tempo chiede sostengo, incentivi, promozione e tutele. Produrre in Italia, con metodi, modelli, risorse e materie prime del territorio, deve voler dire entrare in un circuito di detassazione che permetta alle imprese di attuare standard qualitativi elevati, dalla produzione alla vendita. 

Stimolare ricerca e sviluppo, sostenibilità e tutela delle materie prime locali. Fatto in Italia, deve poter significare, per le imprese che operano con fattori produttivi nazionali e sul territorio italiano, non cercare sotterfugi, esternalizzando parte della filiera in Albania, nell’est Europa o in altri angoli del mondo, perché così facendo si perde valore, competitività, di un marchio che vede nella territorialità il suo vero plus che resterebbe una condizione inimitabile, lontana da ogni possibile contraffazione. 

Non serve un liceo o la propaganda sovranista, servono idee e regole. 

Servono fatti, magari in Italia.

Alberto Siculella

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