Che ci sia un Paese invasore ed uno invaso, importa meno di zero. Per la pace serve ben altro sforzo diplomatico, non più una corsa agli armamenti

La guerra in Ucraina o, meglio, il suo ennesimo capitolo, fatto di tensioni interne, equilibri geopolitici e blocchi di potere, continua ad alimentarsi di un racconto bellicistico sempre meno attendibile, stando alle reiterate fake news, alla piuttosto imbarazzante e alla sua semplicistica narrazione.

Possiamo definire informazione una serie di comunicazioni che al posto dell’analisi prediligono la sintesi, che si ripete nel tempo e rafforza dei messaggi indirizzando verso una dicotomia semplicistica tra buono e cattivo?

No, si chiama propaganda, gerundivo femminile del verbo propagare. E la propaganda è pericolosa perché, a differenza della comunicazione pubblicitaria (che si basa su un’evidente comunicazione di parte), ambisce ad essere veicolata come oggettiva e ricorre a parole, terminologie, figure, immagini, solenni e roboanti.

E la propaganda è tale se ha capacità di propagarsi e per farlo ha bisogno di ripetitività e di sensazionalismo. E più si propaga più la sua onda d’urto coprirà eventuali smentite. Succede così, che i più distratti, apprendano che i russi utilizzerebbero “mini forni crematori”, notizia che, insieme alle “fosse comuni” riattiva un richiamo al genocidio, ai campi di concentramento, a quella guerra lì. Figure, appunto, che smuovono, scuotono, la sensibilità pubblica.

Ma la guerra è sempre orrore, a prescindere, perché porre l’accento su quei termini, su quelle pratiche? Proprio per usare immagini forti, note a tutti, sensazionali.

Fonte: Agenda Digitale

A quell’opinione pubblica però in pochi hanno detto che la foto postata dal sindaco di Mariupol, che mostrava il “forno crematorio” altro non era che uno screen shot di un video promozionale del 2013 della ZaoTurmalin, azienda specializzata in “distruzione termica e neutralizzazione di rifiuti pericolosi e altamente pericolosi”.

A quell’opinione pubblica hanno dato in pasto la faccenda Nord Stream, gasdotto collocato in un mare controllato dalle forze NATO, sul quale pattugliano navi dell’Alleanza atlantica, rappresentando il sabotaggio come attentato russo. Il Washignton Post, non propriamente una testata antisistema, dimostrò che la stampa avrebbe dovuto mostrare più cautela nell’accusare Mosca. Gli Stati Uniti non hanno mai fatto mistero della loro contrarietà al gasdotto Nord Stream 2 opponendosi alla realizzazione del progetto, con lo scopo di impedire il rafforzamento del rapporto tra Russia ed Europa.

Il 23 marzo 2021 il segretario di Stato Blinken dichiarava: «Il Nord Stream 2 è una pessima idea sia per l’Europa che per gli Stati Uniti il progetto è in contraddizione con gli obiettivi di sicurezza energetica dell’Unione europea». Fu poi Joe Biden a mettere in guardia, sostenendo candidamente «Se la Russia invade, non ci sarà più un Nord Stream 2. Vi porremo fine. Vi assicuro, saremo in grado di farlo»

Si potrebbe continuare con altre decine di esempi, partendo dalla centrale nucleare, finendo con il presunto attacco russo nei cieli della Polonia, rivelatosi poi l’esito residuale della contraerea ucraina.

Tutto ciò non giova a nessuno, in primis alla povera popolazione ucraina diventata pedina di uno scacchiere internazionale folle.

La propaganda è pericolosa sempre, che venga da nord o da sud, da est o da ovest ed il modo di raccontare propagandisticamente i fatti, induce i cittadini a schierarsi putiniani vs antiputiniani. Tanta superficialità genera sfiducia verso gli organi di informazione e le istituzioni, portando in casi esasperati a maturare una sensazione di negazione o, nel caso più diffuso, di complottismo.

Ed è il fine ultimo della propaganda, dividere, screditando la parte nemica, mostrandone i lati più pericolosi, per rafforzare l’opinione pubblica tramite la “desiderabilità sociale” ovvero il fenomeno sociologico secondo cui si accetta ciò che non ci pone in una posizione scomoda rispetto all’opinione dominante.

Sottraiamoci alle dicotomie, semplicistiche, banali, ridicole.

No, non esiste in premessa solo il Paese invasore e il Paese invaso, esistono anche i Presidenti invasati, esiste una complessità di fatti, relazioni, dinamiche che non si possono riassumere in slogan. Esiste un mostro, forse più di uno, ma esiste chi lo ha creato, e sono gli stessi che oggi dicono di combatterlo.

Non cediamo ad una rappresentazione in bianco e nero, perché la pace si colloca nell’armonia di tutte le sfumature ed è per questo che la sua bandiera è piena di colori.

Ed oggi, che ci sia un Paese invasore ed uno invaso, importa meno di zero, perché ormai è guerra, da più di cinquecento giorni, e per la pace serve ben altro sforzo diplomatico, non più una corsa agli armamenti, perché il sostegno militare senza una exit strategy, non è resistenza, ma guerra ad oltranza.

Alberto Siculella

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