Le contraddizioni e le debolezze della Gran Bretagna partendo dal caso irlandese

«How long, how long must we sing this song?» cantava Bono degli U2 nella canzone Sunday Bloody Sunday nel lontano 1982, esattamente 10 anni dopo il 30 gennaio 1972, data nota come Bloody Sunday, la domenica di sangue.

A Derry (Londonderry per gli Unionisti), In Irlanda del Nord, in quel giorno morirono quattordici persone e quattordici furono i feriti a seguito dei colpi di arma da fuoco esplosi dalla polizia per sedare una manifestazione.

Fonte: Focus.it

Sembra, purtroppo, che si dovrà cantare ancora per molto questa canzone, dato che per esempio il 2 aprile di due anni fa tornarono fuori tensioni nelle aree di Derry, Belfast e altre città della contea di Antrim. Formalmente, la causa scatenante era stata attribuita alla mancata condanna di alcuni leader nazionalisti del Sinn Féin, i quali avevano violato le norme anti-contagio allora in vigore per il funerale di un ex militante dell’Esercito repubblicano irlandese (Ira). Tuttavia, la grande colpevole delle ultime rivolte sembrava più concretamente essere invece la Brexit, ma andiamo per ordine.

L’Irlanda del Nord fu creata nel 1920 a seguito della divisione dell’Isola di Irlanda in due parti con una legge del Parlamento del Regno Unito. La maggioranza degli abitanti del Nord è (o per lo meno era) protestante e unionista, leale nei confronti del governo di Londra. Tuttavia, nella regione è presente una folta minoranza cattolica, che da sempre aspira alla riunione con l’altra metà dell’isola, che dopo aver ottenuto l’indipendenza si è costituita come Repubblica d’Irlanda.

Fonte: Follow My Footstep

Il conflitto fra le due fazioni ha visto la partecipazione di milizie da ambo i lati, con l’Esercito repubblicano irlandese (Ira) a lottare per la riunificazione opposte agli unionisti dell’Ulster Volunteer Force (UVF) e Ulster Freedom Fighters (UFF). Nel 1998 vennero siglati gli “Accordi del Venerdì Santo” che segnarono la fine dei “Troubles”, iniziati verso la fine degli anni Sessanta con portarono a oltre 3500 vittime.

Tra le decisioni prese vi fu la condivisione del potere da parte delle forze politiche protestanti e cattoliche e allo stesso tempo l’abolizione dei controlli al confine tra le due Irlande. Nondimeno, la Brexit e il protocollo siglato tra UK e Unione Europa avevano rischiato di mandare in fumo sforzi decennali per placare il conflitto.

Tant’è che in quegli infuocati giorni della primavera 2021 la polizia è stata costretta ad usare per la prima volta da molti anni cannoni d’acqua per sedare la rivolta. Le proteste si erano concentrate in aree dove vi è una forte presenza di milizie unioniste, che si sentivano abbandonate da parte di Boris Johnson e le sue decisioni. Infatti, la comunità protestante si oppone alla creazione del confine nel Mare d’Irlanda, risultato dall’accordo con l’UE per evitare l’introduzione di un confine duro con la Repubblica d’Irlanda, che fa parte dell’Unione Europea.

Fonte: Sky TG24

Questa situazione pone in una posizione scomoda l’Irlanda del Nord, che de facto rimane nel mercato unico per evitare duri controlli al confine, ma di fatto allontana la regione dalla Gran Bretagna. Tutto questo si aggrava se prendiamo in considerazione una maggiore natalità fra i cattolici che inverte la composizione della popolazione e infine, il risultato locale del voto della Brexit.

Una cosa che accomuna la Scozia e l’Irlanda del Nord è la forte percentuali di votanti per il Remain, risultato che allontana le due “nazioni costitutive” da Westminster. Se il referendum per l’indipendenza del 2014 era finito a favore della permanenza del Regno Unito, la leader dello Scottish National Party, Nicola Sturgeon, ha dichiarato che nell’ipotesi il partito otterrà la maggioranza dei seggi, si terrà un secondo referendum. Certamente l’annuncio voto di questo tipo nell’Ulster verrebbe accolto con una guerriglia destinata a durare nel tempo.

Quello che emerge è che la Brexit non ha solamente portato all’uscita di un pezzo fondamentale dell’UE quale era la Gran Bretagna, ma rischia ancora a sette anni dal voto di far deflagrale una fragile unione di regioni profondamente diverse quale è il Regno Unito.

Come se non bastasse, il Plaid Cymru, il partito nazionalista gallese, ipotizza un referendum sull’indipendenza del Galles entro il 2026.

Pertanto, è chiaro da quanto accennato qui sopra che il nuovo Regno Unito guidato da Rishi Sunak ha moltissime fragilità e contraddizioni al suo interno che rischiano di minarne il futuro.

Alberto Fioretti

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