Occorre educare le nuove generazioni, ragazze e ragazzi, a vivere relazioni sentimentali libere dal possesso, insegnando ad amare prima se stessi per potersi donare agli altri in modo autentico

Lo stereotipo di genere purtroppo è ancora uno dei tratti distintivi della nostra società e basta parlare con le nostre nonne per comprendere che di progressi ne sono stati fatti tanti in senso formale, a partire dalle conquiste ottenute in ambito legislativo, ma non del tutto in senso sostanziale.

In Italia le donne votavano per la prima volta nel 1946, il delitto d’onore veniva abolito nel 1981 e solo nel 1997 veniva organizzato il primo dipartimento per le pari opportunità, mentre oggi è quanto mai urgente attuare una rivoluzione culturale educando le nuove generazioni alla parità di genere.

Oltre ad essere un fenomeno in crescita esponenziale nel nostro Paese, la violenza contro le donne è perpetrata da maltrattanti sempre più giovani e non avviene solo all’interno dei rapporti “di coppia”, ma anche nelle relazioni di cui si sente parlare meno come quelle parentali, amicali, lavorative e, più in generale, della quotidianità.

Questo pone degli interrogativi importanti sul legame esistente, ormai innegabile, tra ruolo della donna e cultura patriarcale, una cultura da scardinare a partire dal contesto familiare, ma anche dalle istituzioni scolastiche.

Fonte: Università della Calabria

È quindi fondamentale creare consapevolezza sulle origini del fenomeno, diffondendone la conoscenza attraverso i dati reali.

In occasione della Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne l’Istat ha pubblicato i primi dati dell’indagine Stereotipi di genere e immagine sociale della violenza (maggio-luglio 2023), attualmente in corso. È impressionante constatare che, se dal 2018 ad oggi assistiamo ad una diminuzione degli stereotipi di genere, in larga parte fra le donne, allo stesso tempo le opinioni di uomini e donne sulla questione risultano essere sempre più divergenti.

Ciò lascia trasparire un velato intento di legittimazione da una buona parte degli uomini intervistati che, se da un lato prendono le distanze dai fenomeni di violenza, dall’altro tendono a rintracciarne cause e responsabilità al di fuori del loro comportamento.

Pensando, ad esempio, alla concezione del corpo delle donne come oggetto da possedere il testo Istat riporta dei dati che fanno riflettere: il 48,7% degli intervistati ha ancora almeno uno stereotipo sulla violenza sessuale; il 39,3% degli uomini pensa che una donna possa sottrarsi a un rapporto sessuale se davvero non lo vuole e quasi il 20% pensa che la violenza sia provocata dal modo di vestire delle donne.

Purtroppo, emerge una difficoltà importante nell’educazione alla cultura del rispetto, perché oggi le persone sembrano non comprendere l’inviolabilità del corpo e della volontà altrui. Molti episodi di cronaca hanno visto le donne vittime di violenza inquisite per il proprio outfit, come se la libertà di scegliere cosa indossare per esprimere la propria personalità fosse una prerogativa esclusivamente maschile.

In molti processi abbiamo visto avvocati e magistrati fare domande alle vittime sugli approcci e i modi di fare usati per scoprire un consenso che palesemente non c’è stato. A quanto pare, il retaggio culturale arcaico, non ancora superato, impedisce di mettere a fuoco le reali intenzioni dell’uomo mettendo sistematicamente in discussione l’attendibilità delle donne, che non sarebbero in grado di disporre saggiamente del proprio corpo.

Tuttavia, il tema della responsabilità attribuita alla donna nell’atto di violenza subito non sembra dividere nelle idee uomini e donne, segno di un pregiudizio ancora vivo sulla libertà sessuale femminile, ma anche di una forte diffidenza verso il genere maschile.

Infatti, circa l’11% degli intervistati ritiene che una donna, vittima di violenza sessuale quando è ubriaca o sotto l’effetto di droghe, sia almeno in parte responsabile, mentre il 10% ritiene che, se una donna dopo una festa accetta un invito da un uomo e viene stuprata, sia anche colpa sua. Un giudizio femminile di questo tipo origina dalla disparità di genere, in quanto alcune donne, soprattutto le più anziane, sembrano essersi rassegnate al ruolo subalterno attribuito dalla società, tanto che tendono a fare propri, anche inconsapevolmente, alcuni commenti maschilisti per aderire a quel modello.

Non si tratta semplicemente di scarsa solidarietà femminile, ma di un meccanismo che nasce da un’educazione antiquata e non più al passo con i tempi.

La ricerca mette in evidenza, inoltre, gli stereotipi di genere che raccolgono più consensi: gli uomini sono meno adatti delle donne a occuparsi delle faccende domestiche (21,4%); una donna per essere completa deve avere dei figli (20,9%); per l’uomo, più che per la donna, è molto importante avere successo nel lavoro (20,4%); è compito delle madri seguire i figli e occuparsi delle loro esigenze quotidiane (20,2%); è soprattutto l’uomo che deve provvedere alle necessità economiche della famiglia (17,2%).

Tutti questi stereotipi non fanno altro che proporre un modello femminile tutt’altro che virtuoso, oltre che obsoleto, dove la donna dovrebbe ambire al ruolo di angelo del focolare domestico, madre disposta a sacrificare le proprie ambizioni lavorative per la famiglia e dipendendo economicamente dal proprio partner.

Purtroppo, il mercato del lavoro italiano dimostra ancora oggi arretratezza ed il problema non è rappresentato solo dal tema della disparità salariale, ma soprattutto dalla difficoltà di accesso delle donne ai ruoli di leadership.

Gli uomini non devono sentirsi sviliti dalla carriera lavorativa delle donne, ma devono lavorare insieme a loro per sradicare il pregiudizio, spesso inconsapevole, sulla qualità delle competenze professionali femminili. Oggi più che mai la nostra società ha bisogno di uomini dediti alla famiglia, perché l’impegno lavorativo non potrà mai sopperire al ruolo paterno, indispensabile nell’educazione e nello sviluppo emotivo dei figli.

Anche se la violenza fisica nel rapporto di coppia è meno accettata, il 16,1% dei giovani dai 18 ai 29 anni dichiara di accettare ancora il controllo dell’uomo sulla comunicazione (cellulare e social) della propria moglie/compagna. È un dato triste quello che emerge: per paura di perdere il partner siamo disposti a rinunciare alla nostra libertà, mentre dall’altro lato siamo persone estremamente insicure che preferiscono esercitare il proprio controllo sulla vita altrui, pur sapendo di vivere relazioni inautentiche.

Occorre educare le nuove generazioni, ragazze e ragazzi, a vivere relazioni sentimentali libere dal possesso, insegnando ad amare prima se stessi per potersi donare agli altri in modo autentico.

Le donne dovrebbero raggiungere la propria realizzazione personale a prescindere dalle aspettative della società, anche se il loro progetto non contempla un uomo.

Piuttosto è bene aspettarsi che non tutte troveranno la felicità nel progetto di vita familiare, ma raggiungeranno con grande soddisfazione i propri obiettivi professionali contribuendo in altro modo al progresso della società. Una donna che ha una vocazione diversa dalla maternità deve essere libera di compiere le proprie scelte, senza essere giudicata o emarginata per questo.

Alle bambine di oggi bisogna raccontare favole diverse, perché la principessa può essere felice anche se non arriva il principe azzurro su un cavallo bianco a salvarla, magari diventa regina e regnerà felice anche da sola.

Marzia Furlan

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