Breve analisi della candidatura del Cavaliere al Quirinale

“Non temo Berlusconi in sé, temo Berlusconi in me”. In queste parole di Giorgio Gaber è racchiusa l’essenza del Berlusconismo, un fenomeno che non terminò con la caduta del Leader di Forza Italia, ma si radicò, grazie alla capacità del Cavaliere di interpretare le istanze degli italiani del tempo, nelle nostre menti.

Ancora oggi, infatti, anche a fronte dell’esponenziale calo di consenso elettorale registrato dal suo partito negli ultimi anni, caratterizza parte della nostra società. L’ultima trovata del Cavaliere è la ormai famosissima corsa al Quirinale e pare proprio ce la stia mettendo tutta. Con il suo classico atteggiamento da dongiovanni l’ex presidente cerca di corteggiare, attraverso dichiarazioni discutibili, l’intero arco parlamentare per acquisire nuovamente credibilità.

A sorprende è che, in una certa misura, ci riesca. I toni, anche dello stesso centro-sinistra, non sono stati perentori come ci si sarebbe potuti aspettare. E così Berlusconi prova davvero a scalare, in un’impresa di andreottiana memoria, il Colle. Il dibattito pubblico, al netto di rare eccezioni, accoglie tale evento con una normalità disarmante che sembra non tener conto, come di consuetudine, della recente storia.

Quella che si configura come una vera e propria barzelletta occupa la cronaca nostrana da ormai due mesi. In questo arco temporale più esponenti di partito hanno espresso la loro opinione, sorprendentemente positiva, nei confronti dell’uomo che tra processi, leggi discutibili e, non caso, barzellette, caratterizzò la seconda repubblica.

Ancora una volta il Cavaliere, è da dargliene atto, riesce a riconquistare quella credibilità perduta, crogiolandosi nella considerazione che la politica sembra aver ritrovato nei suoi confronti. A partire dalla Meloni che lo arriva definire un “patriota” fino al peggiore “ha fatto anche molte cose buone” pronunciato da Conte.

Il sogno proibito di Berlusconi appare quantomeno irrealizzabile, ma ciò non giustifica certamente l’alone mistico e l’istituzionalità che tornano a ricoprire uno dei personaggi più discussi della storia repubblicana, come se nulla fosse accaduto.

Alberto Fioretti

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