Fuga di mezzanotte, film cult del 1978 del regista Alan Parker, è una di quelle pellicole che in qualche modo hanno segnato alcune generazioni

Fuga di mezzanotte, film cult del 1978 del regista Alan Parker, è una di quelle pellicole che in qualche modo hanno segnato alcune generazioni. Si parla di droga e di ingiustizie carcerarie, di violenza e di desiderio di libertà. Soprattutto di libertà perduta.

Tutto inizia all’aeroporto di Istambul, William Hayes giovane americano in vacanza in Turchia sta imbarcandosi con la sua ragazza per tornare a casa quando viene perquisito dalla polizia. Si tratta di un controllo antiterrorismo, ma è quanto basta perché gli agenti scoprano che William ha addosso della droga. Immediatamente fermato e interrogato gli viene detto che se condurrà gli agenti da colui che gli ha procurato la droga se la caverà con pochi danni. Come vedremo non sarà affatto così. Viene dunque portato in città perché possa indicare lo spacciatore.

Fonte: Wikipedia

Nel centro di Istambul c’è folla ovunque e così William, approfittando di una distrazione dei poliziotti, tenta la fuga. Dopo una breve corsa tra il traffico convulso della metropoli viene ripreso e portato in carcere. Qui comincia la lunga serie di torture che il ragazzo dovrà subire durante la sua detenzione, detenzione che si intuisce non sarà né breve né semplice. Passa qualche tempo, il padre di William arriva ad Istambul, prende accordi con un avvocato che lo rassicura che la pena sarà senzaltro breve. Il giorno del processo William è speranzoso, si presenta in tribunale con un vestito decente e una cravatta. Quando arriva la sentenza però rimane raggelato: quattro anni e due mesi. E deve essere soddisfatto visto che il pubblico ministero aveva chiesto l’ergastolo. Intanto nel carcere continuano le violenze, in particolare il capo dei secondini, un omone grande e grosso si rivela essere un sadico pericoloso.

Passano quattro anni, ormai restano solo 53 giorni da scontare, William sente già l’odore della libertà quando riceve in carcere la visità di un addetto del consolato che gli comunica che l’alta corte di Ankara ha respinto la prima sentenza e lo ha condannato all’ergastolo. È un crollo psicologico, William capisce che ormai non c’è più niente da fare, in tribunale si sfoga come può, mette a nudo tutta l’ipocrisia di un sistema che condanna o assolve solo in base alla opportunità politica. In questo momento la Turchia ha bisogno di un esempio che dimostri al mondo che all’interno dello stato esiste una decisa volontà di fermare il traffico di droga e il giovane americano è esattamente l’esempio che serve, il caprio espiatorio diciamo. Ora il carcere è ancora più duro, le violenze si moltiplicano, gli unici amici che ha vengono torturati o uccisi.

Così, dopo un’aggressione verso un detenuto che ha fatto la spia contro di lui e due suoi compagni, viene rinchiuso in una sezione del carcere che ospita criminali affetti da pazzia. Riceve un’ultima visita del padre e della sua ragazza, ormai sconsolati e certi che William non uscirà mai da quella prigione, la situazione politica non è favorevole, il presidente Nixon ha inasprito i rapporti con il regime turco e ormai il suo destino è segnato, nulla potrà salvarlo. Quando tutto sembra perduto ecco però che qualcosa succede.

L’ultima scena, quella che in definitiva riaccende un lume di speranza, mostra William che, dopo aver cercato inutilmente di corrompere il suo aguzzino ed è sul punto di subire l’ennesima violenza riesce inaspettatamente a divincolarsi dall’abbraccio mortale dell’energumeno, lo spinge contro il muro e lo uccide. La scena seguente lo vede uscire dal carcere con i vestiti del secondino ucciso finalmente libero che corre verso la libertà.

Nei titoli di coda si ricorda che la pellicola è tratta dall’omonima autobiografia di Billy Hayes e che il protagonista dopo tre settimane riuscì a raggiungere la Grecia e a imbarcarsi finalmente per gli Stati Uniti. Come si diceva il film, che si giovò dell’adattamento per il grande schermo di Oliver Stone, divenne in breve un cult acclamato per il forte impatto emotivo e per il suo realismo. Ricevette sei candidature ai premi Oscar nel 1979 aggiudicandosi due statuette per la sceneggiatura di Stone e per la musica di Giorgio Moroder. Inoltre, Brad Davis, protagonista della pellicola, ricevette il Golden globe come miglior attore debuttante. Una annotazione che in qualche modo ci riguarda, al film presero parte alcuni attori italiani, Paolo Bonacelli, Gigi Ballista e Franco Diogene, i costumi sono della nostra Milena Canonero, che aveva già ricevuto un Oscar per Barry Lyndon di Kubrik e il già ricordato Giorgio Moroder che per questo film si aggiudicò l’Oscar per la colonna sonora, Oscar che ricevette ancora nel 1984 per Flashdance e 1987 perTake my breath Away.

Insomma, un po’ di talento italiano, cosa che non guasta e che ci riempie sempre di un malcelato orgoglio.

Lello Mingione

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