Il Corriere della Sera rivela i putiniani d’Italia; alla luce il report dei servizi sulla propaganda russa

“Influencer e opinionisti: ecco i putiniani d’Italia”, così era intitolato l’articolo del Corriere della Sera del 5 giugno scorso da cui è partito il dibattito su un’ipotetica attività di dossieraggio dei servizi segreti. Sono infatti ormai diversi giorni in cui su giornali e nei talk show si parla di questo caso, anche se la verità (come spesso accade) fatica ad emergere. Per cercare di fare chiarezza sono intervenuti alcuni diretti interessati, ma le loro dichiarazioni hanno talvolta aumentato i dubbi su questa vicenda. Il nostro tentativo è quello di ricostruire gli eventi per capire se si è fatto tanto clamore per nulla o se invece abbiamo qualcosa di cui preoccuparci.

Tutto è nato dalla pubblicazione dell’articolo prima citato, in cui la giornalista Fiorenza Sarzanini spiegava come il Copasir, il comitato parlamentare che vigila sul lavoro dei servizi, avesse avviato un‘indagine sulla macchina della propaganda russa in Italia, che si servirebbe di parlamentari, manager e giornalisti. Il giorno successivo però arrivano le smentite di Adolfo Urso, presidente del Copasir, il quale afferma di aver ricevuto il report solo dopo la pubblicazione sul Corriere della Sera ed escludendo dunque che l’ente da lui diretto abbia svolto un’attività di dossieraggio.

Tali smentite non sono servite a placare gli animi e ad esse si sono aggiunte quelle di Franco Gabrielli. Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio nega l’esistenza di “liste di proscrizione” e riconduce l’attività dei servizi ad un tavolo interministeriale, il cui compito sarebbe quello di sviluppare rapporti sula rete di disinformazione russa nel nostro paese esclusivamente sulla base di fonti aperte. Le rassicurazioni di Gabrielli non sono bastate, tanto che quest’ultimo si è trovato costretto a desegretare il fatidico documento, al fine di evitare il proseguimento della campagna diffamatoria contro i servizi segreti. Nel report si ricostruisce lo stato della propaganda russa e della disinformazione nel nostro paese e sarebbe solamente il quarto di una serie.

Fonte: Corriere della Sera

Una volta ricostruito lo svolgimento delle vicende, sorgono spontanee alcune riflessioni e alcuni dubbi. In primo luogo, è giusto sottolineare come il monitoraggio delle opinioni di persone più o meno influenti sia un’attività che i servizi svolgono in piena legittimità e che risulta utile anche per la sicurezza nazionale, poiché attuata al fine di sapere se le idee espresse sono libere o dettate da pagamenti di nazioni estere. Premesso ciò, è altrettanto lecito chiedersi se ci fosse realmente bisogno di un’indagine per scoprire che in televisione e sui social network ci siano persone con idee filorusse e spesso imbarazzanti. Veniamo però al nodo cruciale.

L’articolo firmato dalla Sarzanini sul Corriere della Sera presenta le foto di undici influencer e opinionisti che sono accusati di essere filo-putiniani, tra cui ci sarebbero l’ex parlamentare del M5S e il professor Alessandro Orsini, ma solo due di loro sono nominati nel report desegretato. Da qui viene spontaneo chiedersi perché ci siano gli altri nove. In una recentissima intervista il presidente del Copasir lascia intende che questa sia un’iniziativa giornalistica, ma un’ipotesi plausibile è che i restanti nove siano citati nei tre report precedenti. Ma anche se così fosse, era necessario mettere i loro volti ed esporli al pubblico ludibrio? In questa vicenda viene infatti in risalto, ad opinione di chi scrive, il tema giornalistico. Non discutiamo la pubblicazione della notizia (anche se Gabrielli si è lamentato per questo e per la fuga di notizie, di cui non conosciamo il responsabile), ma come è stata presentata. Gli undici in foto appaiono più come colpevoli di reati gravi che come oppositori delle politiche del governo, e forse una vena critica nei confronti del report non sarebbe guastata.

Come si può notare gli interrogativi sono molti e la verità sta probabilmente in mezzo, ma la sensazione è che di questo caso si continuerà a parlare.

Giulio Picchia

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