Scopriamo una nuova forma di gestione dell’attività lavorativa e della propria vita

“South Working” è uno dei tanti vocaboli che la pandemia ha reso parte del nostro linguaggio quotidiano. Con questo termine ci si riferisce al fenomeno che si è iniziati ad osservare già durante i primi mesi in cui sono state disposte le misure di contenimento per far fronte all’emergenza Covid-19, quando moltissimi lavoratori originari delle regioni del sud Italia, ma emigrati al nord per lavoro, erano tornati nelle proprie città natali, continuando a svolgere la propria attività lavorativa da remoto.

In molti si erano detti entusiasti di questo ritorno alle origini, della possibilità di abbandonare il caos della grande città e riscoprire la tranquillità dei piccoli borghi e gli affetti familiari da cui si erano allontanati. Né sono passati inosservati i vantaggi economici determinati da un minor costo della vita, dal non dover pagare l’affitto e via discorrendo.

Fonte: TG Poste – Poste Italiane

Adesso, giunti ad una nuova fase di pianificazione del futuro, in cui si riflette su quale sarà l’impatto dei cambiamenti a cui la pandemia ci ha costretti sull’organizzazione delle nostre vite d’ora in avanti, si torna a parlare di South Working – e più in generale del “lavoro agile” – come strumenti di innovazione e trasformazione radicale del mondo del lavoro che conosciamo oggi.

Naturalmente, si tratta di temi che incidono non soltanto sulla vita dei singoli, ma anche sull’economia delle città e dell’intero Paese. Alla fine dell’estate 2020, quando la situazione sembrava essersi tranquillizzata, il sindaco di Milano Beppe Sala aveva lanciato un accorato appello a tutti i lavoratori del Sud fuggiti dal capoluogo lombardo, vista la grande inflessione nell’economia della città causata proprio dai mancati introiti dovuti a questa “ondata migratoria al contrario”.

Di contro, gli amministratori del Sud e la stessa ex-ministra per il Mezzogiorno Mara Carfagna, come sottolineato di recente in un’intervista rilasciata al Financial Times, vedevano nel South Working un’opportunità per il Sud, che in questi anni ha sofferto di un graduale ma costante spopolamento, soprattutto degli under 25 con un tasso d’istruzione più alto.

Dato che però non è sempre tutto oro quel che luccica, non erano mancate le voci di dissenso. La docente di Management e Tecnologia presso l’Università Bocconi di Milano Rossella Cappetta aveva infatti messo in guardia dai pericoli del South Working. A suo parere, infatti, il lavoro agile può rappresentare una formula vincente solo se concepito parallelamente al lavoro tradizionalmente svolto in ufficio o in azienda. In questo modo si darebbe maggiore flessibilità e autonomia organizzativa ai lavoratori, senza però privarli del proprio contesto lavorativo.

Sostituendo in toto il lavoro in presenza con il lavoro da remoto – sosteneva la Cappetta – i lavoratori finirebbero con il sentirsi alienati, e ciò ne ridurrebbe non soltanto la produttività, ma anche la capacità di cogliere nuove occasioni di crescita e di carriera, comportando loro addirittura un danno economico. Inoltre, sebbene alcuni costi sostenuti dalle imprese sarebbero ridotti o eliminati (es. il pagamento dell’affitto), l’organizzazione del lavoro da remoto comporterebbe comunque costi ulteriori, talvolta anche maggiori, nonché notevoli difficoltà organizzative.

Infine, la docente ritiene che a subire un danno sarebbe l’intero territorio, perché passerebbe definitivamente l’idea che al sud è impossibile fare impresa, trasformando queste regioni in “appendici” del nord Italia.

A queste critiche e alle altre che sono giunte i sostenitori avevano risposto spiegando che il South Working rappresenterebbe soltanto una delle possibilità, e la sua funzione è quella di consentire ai dipendenti di gestire al meglio le proprie vite, godendo di maggiore libertà. Ciò non preclude il fatto che per superare il gap fra nord e sud siano necessari massicci investimenti a favore del Mezzogiorno, finalizzati alla costruzione di nuove infrastrutture e alla creazione di nuove opportunità di lavoro, soprattutto per le imprese.

In questo senso sarà fondamentale il piano Next Generation EU, i cui fondi dovrebbero essere in larga parte destinati proprio alle regioni più svantaggiate.

Scelte equilibrate ma coraggiose e una pianificazione accurata potrebbero essere le armi con cui l’Italia sarà in grado di porre fine all’annosa questione meridionale.

Tuttavia, “del doman non v’è certezza”, e non resta che vedere quali saranno le prossime scelte del Governo.

Alberto Fioretti

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