Un viaggio alla scoperta di una delle forme artistiche più belle che siano mai state ideate dalla mente umana: la Canzone

Un incantevole borgo medievale alle porte di Roma: Campagnano. Qui, il tempo sembra essersi fermato e una volta superata la Porta di accesso al centro storico si entra in quello che, senza dubbio, potremmo definire un mondo incantato.

Ed è proprio in questo mondo che si sviluppa il nostro racconto che parla di una delle forme artistiche più belle che siano mai state ideate dalla mente umana: la Canzone. Ad aprirci le porte di questo scrigno con tutti i suoi segreti troviamo il Prof. Fulvio Caporale, meridionale DOC, classe 1940 che ci aspetta sulla piazza di Campagnano, dinnanzi Palazzo Chigi, pronto a condurci in un affascinante viaggio nel tempo non prima di averci offerto un ottimo caffè.

Ci addentriamo tra le caratteristiche costruzioni del piccolo Comune per giungere nei pressi della Torre (di cui è “custode”), testimonianza storica del nucleo di Campagnano. Pochi metri ancora ed eccoci davanti all’abitazione del Professore, una vera e propria casa-museo.

Prima di illustrare quanto contenuto all’interno di quelle incantevoli mura (dalla camera da letto si gode un panorama meraviglioso), ci sia permesso raccontare chi è Fulvio Caporale, la sua Storia di docente, paroliere e musicista.

Ancora in fasce la sua voce era perfettamente in grado di ripetere la melodia ascoltata dai musicisti di Trivigno, paese Natale in provincia di Potenza. Entrambi i genitori erano maestri elementari ed il padre Vito anche fondatore della Banda musicale. Crescendo, il giovane Fulvio porta con sé questo attaccamento per la Musica e divenuto professore di Lettere, non abbandonerà mai il suo “primo amore”.

Napoletano di adozione ma anche “sardo” (la sua professione da insegnante lo ha portato nella scuola elementare di Escalaplano (Sud Sardegna) e poi nei licei di Roccadaspide e Battipaglia (Salerno)), il giovane Fulvio decide, all’età di 44 anni, di ritirarsi dal mondo della Scuola per dedicarsi interamente alla sua passione.

Sono gli ultimi anni del decennio 50 ed il nome di Fulvio Caporale viene trascritto nei registri della SIAE con la qualifica di “musicista non trascrittore”. A Napoli passa l’esame per divenire “autore della parte letteraria”. Sul finire degli anni ’70 (1977 per l’esattezza) partecipa alla trasmissione televisiva “Scommettiamo” dove vince un premio di 13 gettoni d’oro, pari a tre milioni e mezzo di lire. Il suo nome è legato a molti titoli della Canzone come “Muro di carta”, “Coccio di Vetro”, “Napelicchie”, “Luna saracena” e molti altri.

Uno però lo vogliamo ricordare con una sottolineatura speciale: “I giardini d’Alhambra” scritto assieme a suo figlio Vito. Quest’ultimo partecipò a Sanremo nel 1994 col gruppo de “I Baraonna” di cui, in quella prima formazione, facevano parte anche le sorelle Angela, Serena e Rosella. Il brano vinse il premio della Critica ed il premio Fonopoli come miglior arrangiamento.

Nella vita di Fulvio Caporale sono presenti nomi storici legati alla Canzone partenopea: si va da Austin Forte a Roberto Murolo; da Renato Recca a Nicola Arigliano col quale ha scritto il brano “Tressette a quattro” divenuto sigla del celebre programma Zelig.

Ma il suo nome è giunto addirittura oltreoceano: nella raccolta di brani classici e jazz della musica leggera americana di Arigliano intitolata “My name is Pasquale”, Caporale è l’unico autore italiano ed europeo a risultare in ben due composizioni.

Dopo questa doverosa presentazione, torniamo in quello scrigno di tesori che raccontano le origini della Canzone. Partiamo da una data: 1839. È questo l’anno di nascita della Canzone napoletana, anche se molti storici ritengono che già nel XIII secolo vi fossero forme “spontanee”, per così dire, di canzoni tra la popolazione napoletana.

Ad ogni modo è nel 1839 che nasce quella che è una vera e propria poesia musicata: “Te voglio bene assaie” (anche se in molti utilizzano la J noi riportiamo il titolo come scritto nella stampa originale). Fulvio Caporale ci dice che la “Canzone” intesa come espressione più alta dell’Arte termina con Domenico Modugno alla fine degli anni ’50 con le sue due canzoni più celebri, ovvero “Nel blu dipinto di blu” (meglio nota come Volare”) del 1958 e “Piove” (conosciuta anche come “Ciao ciao bambina”) del 1959.

Sulle pareti ecco esposti giornali d’epoca: “il Roma della domenica” (Piedigrotta 1925), con lo spartito di “Lacreme napulitane”, la copertina di “Faccetta nera” con la bandiera tricolore e l’emblema del Fascio littorio. Ancora “La sagra di Giarabub” appartenente ai canti della Guerra e sul tavolo, ricoperti da una protezione in vetro, una serie di edizioni de “Il Canzoniere della Radio” che vanno dal 1940 al 1942.

Ma la collezione non finisce qui. In una piccola bacheca le copertine della celebre “Lili Marleen” di cui Fulvio riproduceva il motivo quando era ancora in fasce, come riportato nelle precedenti righe. La mostra prosegue e il Professore tira fuori dai cassetti una raccolta di riviste d’epoca di Piedigrotta. Sono gli anni del primo Novecento. Il meglio però deve ancora venire.

Abbiamo detto che il 1839 segna il punto di partenza della Canzone. Già, ma prima di tale anno? C’è un nome grazie al quale le canzoni antecedenti tale data non sono andate perdute ma, al contrario, sono state raggruppate in una raccolta chiamata “Passatempi musicali”. Parliamo di Guglielmo Cottrau, editore e compositore francese. Cottrau, anche grazie all’assenza di un registro che identificasse l’autore (o gli autori) di un brano, prese queste canzoni anonime, le riarrangiò e ne dichiarò la paternità. La SIAE, infatti, era ancora una realtà lontana dal nascere (bisognerà attendere la riunione dei 181 cultori di scienze, lettere ed arti, nella sala dell’Orologio di Palazzo Marino, che daranno vita al primo statuto alle ore 16 del 23 aprile 1882).

Ecco, dunque, che nel “nostro” tesoro cartaceo, emergere una raccolta intitolata “Le Napolitane”, scelta di canzoni popolari di Guglielmo Cottrau. Si va da “Te voglio bene assaie” fino a “L’Agnesina”. La particolarità che emerge sfogliando quelle pagine è la pubblicazione del testo sia in lingua dialettale che italiana, accompagnate dallo spartito.

Toccare con mano quei fogli così antichi ha generato un’emozione indescrivibile. In un periodo come questo dove la carta appare un elemento ormai passato, ci si rende conto, senza nulla togliere al digitale, di quanto fascino ci sia in ogni pagina che si sfiora.

La visita giunge al termine ma prima di salutarci, il Professore imbraccia la chitarra e canta una sua canzone popolare napoletana in cui traspare il sentimento e l’amore per la Musica e per la Capitale del sud, culla della Cultura con la C maiuscola.

Un viaggio che ci auguriamo possa essere effettuato da tutti gli appassionati del Sapere, magari attraverso un’esposizione di questi numerosissimi ed affascinanti documenti cartacei.

Stefano Boeris    

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