Qual è la situazione della legislazione sull’aborto in uno dei paesi più cattolici d’Europa

Polonia – “Ho detto ai medici che non mi sento bene, ma nessuno fa niente”. Così recita uno degli ultimi messaggi di Izabel alla madre. Morirà 24 ore dopo il suo ricovero a causa di una setticemia. Questo succedeva più di un anno fa. Per molti la notizia della sua morte, avvenuta nel settembre scorso non diede adito a dubbi: fu la prima vittima, o almeno la prima di cui si abbia notizia certa, della nuova legislazione in tema di aborto.

Attualmente, infatti, l’aborto in Polonia è consentito in casi estremamente eccezionali: gravidanza a seguito di uno stupro, incesto, o pericolo grave per la salute della madre del feto.

Manifestazioni di protesta sull’Aborto in Polonia – Fonte: Avvenire

Izabel era stata ricoverata d’urgenza, all’ospedale di Pszcyna, a causa di una consistente perdita del liquido amniotico: le chance di sopravvivenza del feto erano pari a zero. I medici, non potendo procedere con l’aborto, avevano deciso di non procedere con il parto ed attendere il decesso “naturale” del bambino. La morte della madre, invece, non era contemplata.

Sono passati più di due anni dalla pubblicazione in Gazzetta ufficiale della sentenza della Corte costituzionale polacca che, come sopra riportato, restringe l’ambito dei casi in cui è consentito per la donna abortire, e per il medico, praticare l’aborto.

La legge sull’aborto, ancor prima della nuova disciplina, era conosciuta in Europa come una delle più rigorose e restrittive. La forte influenza delle gerarchie cattoliche non è un dato indifferente: in Polonia, Paese a stra-maggioranza cattolica, i valori della famiglia tradizionale e naturale sono fortemente sentiti e protetti. Prima si permetteva l’interruzione della gravidanza causata da stupro, incesto, pericolo di vita per la donna, e per ultimo, malformazione del feto.

La sentenza della Corte è intervenuta, poi, dichiarando incompatibile con i principi della Costituzione l’ultima condizione, vietando di fatto l’aborto in caso di difetti congeniti del bambino portato in grembo e comminando una reclusione fino a tre anni, nei confronti dei medici che operano in violazione delle disposizioni.

All’indomani dell’entrata in vigore della legge, molti – per lo più giovani – sono scesi in piazza, le Ong hanno offerto il loro aiuto alle donne impossibilitate a denunciare la loro situazione; sono cresciuti esponenzialmente i casi di interruzione di gravidanza illegali o all’estero (se ne stimano all’incirca 200.000).  La presa di posizione del Governo e della Corte costituzionale si è rafforzata ancor di più a causa delle continue esortazioni in tal senso mosse dal comitato pro-life polacco, soprattutto se si tiene conto della sua forte vicinanza al partito di Governo. L’influenza degli ideali pro-life, alla luce della nuova disciplina, sembra innegabile.

Eppure, oggi la situazione non sembra mutare. Anzi, il quadro si aggrava con il varo, più di un anno fa, al Sejm –camera bassa del Parlamento polacco – di una legge di iniziativa popolare che è rivolta, tra le altre cose, ad eliminare tutti i requisiti rimasti al fine di interrompere la gravidanza (vietandola a 360 gradi), prevedere un aumento di pena per i sanitari fino a 25 anni di reclusione, ed in casi più gravi, l’ergastolo.

La motivazione che sorregge questa svolta radicale è la considerazione secondo cui, non essendovi alcuna tutela per gli esseri umani nella fase prenatale, il bambino dovrà essere considerato un essere umano sin dal concepimento, con le conseguenti implicazioni legislative assicurate al “soggetto di diritto”.

Non mancano inoltre sanzioni più dure per la madre. Questa è la difficile situazione polacca dov’è si fronteggiano due visioni del mondo radicalmente alternative.

Alberto Fioretti

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