Una fine ingloriosa, giunta sull’onda delle inchieste giudiziarie di Tangentopoli e la cui condanna resterà avvinta per sempre in quell’anatema che Moro rivolse a coloro che non seppero salvargli la vita

Discorrendo sulla morte di Socrate, Platone ebbe modo di constatare come il mestiere del pensatore sia particolarmente pericoloso, essendo straordinariamente lunga la lista di coloro che hanno pagato con la vita il senso delle proprie convinzioni.

Da Giulio Cesare a Seneca, da Savonarola ad Aldo Moro sono, infatti, innumerevoli gli esempi di martiri civili che hanno attraversato la storia italiana. Ma è in particolare la vicenda di Moro, di cui pochi giorni fa si è celebrato l’anniversario della morte, a suscitare ancora inquietanti interrogativi. Dubbi che, dopo quarantaquattro anni, non sono stati ancora pienamente dissipati.

Aldo Moro: ragion di Stato e uccisione dell'innocente - nuovAtlantide.org
Fonte: nuovAtlantide.org

A partire dal presunto coinvolgimento di apparati deviati dello Stato nella pianificazione e nell’attuazione del sequestro da parte delle Brigate Rosse. Coinvolgimento che, inserendosi nel più vasto quadro della strategia della tensione, mirava a destabilizzare l’Italia, ostacolando il Compromesso Storico fra Dc e Pci. Compromesso fortemente voluto da Moro e che spiega compiutamente il suo disegno volto alla ricerca di convergenze parallele con il Partito Comunista di Enrico Berlinguer. Per Aldo Moro era, infatti, quanto mai necessario avviare un percorso politico nuovo, superando la democrazia bloccata in nome di quella dell’alternanza. E per fare questo passo in avanti era, pertanto, necessario inserire il Pci all’interno della compagine governativa.

Tuttavia, tale strategia dell’attenzione fu avversata all’interno della Democrazia Cristiana tanto dalle correnti di destra (in particolare quella facente capo a Giulio Andreotti) quanto da quelle di sinistra favorevoli al Preambolo. Avversione che, però, fu superata positivamente nel corso del Congresso del 1975, anche grazie alla mediazione di Amintore Fanfani.

Dopo le dimissioni di Fanfani da Segretario Nazionale, si giunse finalmente a una sintesi fra le varie correnti. Si decise, infatti, che per ritrovare l’unità nel partito si dovesse aprire una fase nuova, maggiormente incline verso le istanze provenienti dal Paese. Fase che non poteva prescindere dall’elezione di un Segretario equidistante dalle dispute interne alla Dc. Il prescelto per tale ruolo fu, da subito, Benigno Zaccagnini, uomo dal carattere vigoroso e dall’indiscussa integrità morale. Con l’elezione di Zaccagnini, il progetto moroteo iniziò a prendere consistenza.

Il primo vero banco di prova, al riguardo, fu la nascita del governo Andreotti III, il quale si reggeva sull’appoggio esterno del Pci alla Camera. Questo governo fu ribattezzato dalla stampa della non sfiducia e preludeva a quello che avrebbe dovuto insediarsi il 16 marzo 1978. Sfortunatamente, Aldo Moro non fece in tempo ad assistere alla concreta realizzazione del suo progetto riformista. Proprio quella mattina, infatti, lo statista democristiano venne rapito da un commando delle BR. La notizia del sequestro del Presidente della Dc, immediatamente rivendicata dai terroristi, fece in breve il giro del Paese. Alla Camera, dove era in corso il dibattito sulla fiducia al governo, la seduta fu sospesa e riprese dopo molte ore. Per cinquantacinque giorni l’Italia sprofondò nel buio, scossa dalla violenza di un terrorismo che con il sequestro di Moro aveva portato la propria sfida al cuore dello Stato.

Tuttavia, malgrado la tempestività delle ricerche, le indagini non condussero a nessun risultato concreto. Troppi depistaggi, misteri e incongruenze interessarono da subito la vicenda. Dalla presenza di uomini dei servizi segreti sul luogo della strage (in particolare di soggetti affiliati a Gladio) fino alla presunta seduta spiritica in cui venne fatto il nome della prigione di Moro, sono tante le ombre che avvolgono i giorni del sequestro.

Misteri che si infittiscono, evidenziando come l’uccisone di Aldo Moro, avvenuta il 9 maggio del 1978, sia stata figlia di una collusione malsana fra servizi segreti deviati e personaggi ambigui dell’eversione italiana. Cionondimeno, tale episodio traumatico ha sicuramente influenzato gli avvenimenti successivi.

Come emerso dal Memoriale di Moro, da lui scritto durante i giorni della prigionia, esso, con straordinaria lucidità, preannunciò l’imminente fine del sistema politico della Prima Repubblica.

Una fine ingloriosa, giunta sull’onda delle inchieste giudiziarie di Tangentopoli e la cui condanna resterà avvinta per sempre in quell’anatema che Moro rivolse a coloro che, per dolo o per colpa, non seppero salvargli la vita.

Gianmarco Pucci

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