A più di tre anni dallo scandalo che ne ha determinato l’allontanamento Luca Palamara, ex presidente dell’ANM e primo pentito nella storia della magistratura italiana, ha deciso di scendere in campo
A più di tre anni dallo scandalo che ne ha determinato l’allontanamento e la successiva radiazione, confermata anche dalla Cassazione con decisione definitiva, Luca Palamara, ex presidente dell’ANM e primo pentito nella storia della magistratura italiana, ha deciso di scendere in campo, fondando un suo movimento politico che concorrerà alle prossime elezioni del 25 settembre.
Tale iniziativa, come si può facilmente intuire, si propone di continuare l’opera di denuncia verso l’uso politico della giustizia, iniziata dall’autore del “Sistema” giusto due anni fa, e che da allora non ha mancato di far discutere l’opinione pubblica, regalando a Palamara un’inattesa quanto inedita popolarità. Soprattutto, per i temi che l’ex magistrato affronta nelle sue opere, che spaziano dall’abuso della carcerazione preventiva ai tanti processi politici, in primis quelli che hanno riguardato Silvio Berlusconi, che da oltre trent’anni contribuiscono costantemente a riscrivere, a colpi di sentenze, la storia italiana, alterando quel principio di parità fra poteri costituzionali che dovrebbe essere alla base di qualunque sistema giudiziario democratico.
Dottor Palamara, quali sono le reali intenzioni che la spingono oggi a candidarsi e a chi si rivolge l’associazione?
Guardi, io glielo dico con molta tranquillità e franchezza, l’associazione nasce per continuare la mia battaglia di verità sulla giustizia. In Italia c’è bisogno di uno shock, deve finire l’idea, ormai presente nel Paese da più di trent’anni, che il tema della giustizia e del processo penale possano essere utilizzati per colpire questo o quell’avversario. È ora di dire basta all’uso politico della giustizia. Credo anche, per rispondere alla sua domanda, che questa battaglia debba rivolgersi a tutti coloro che, dentro e fuori dai partiti, sono stanchi di sentire una sola campana, che tende , con la complicità dei grandi giornali, a bollare la mia narrazione come un fatto che va contro la magistratura e non a suo favore.
Dovrà, tuttavia, ammettere che molti penseranno che dietro questo suo tentativo si celi principalmente un intento vendicativo verso quell’ordine giudiziario che prima di lei si è servito e che poi l’ha scaricata. Cosa replica a quei tanti che l’accusano di voler cercare solo visibilità e riscatto personale?
Voglio dire, a quei tanti che oggi dalle pagine dei grandi giornali mi attaccano, che non cerco vendetta e che non mi fermeranno a colpi di editoriali o insulti. In questi anni, da quando sono iniziati i fatti noti che hanno portato al mio allontanamento dalla magistratura, in molti hanno cercato di portarmi via la dignità. Ebbene, oggi, a cospetto di quanti sono qui convenuti, posso dire che non solo non ci sono riusciti, ma che da adesso in poi, se avranno qualcosa da obiettare nei miei confronti, io li aspetto per discuterne pubblicamente e liberamente. Costoro dovranno spiegare, infatti, come hanno avuto accesso a informazioni riservate e soprattutto perché hanno deciso di colpirmi, adottando un metodo di killeraggio giudiziario degno della Russia di Vysinskij.
Con chi si candiderà? Ha già pensato a possibili alleanze? Ha già ricevuto qualche offerta?
Non ho pensato ancora a nessun genere di apparentamento, anche perché il mio movimento intende essere soprattutto una piattaforma civica in cui ad essere centrale è il bisogno dei cittadini ad avere una giustizia equa e imparziale. Tuttavia, devo ammettere che sul tema ho registrato una sensibilità maggiore da parte del centrodestra, da sempre impegnato in prima fila per una riforma in chiave garantista del sistema giudiziario.
Lei ha espresso numerose perplessità sulla riforma Cartabia. Secondo lei c’è qualcosa di buono nella legge oppure si è trattato di un tentativo maldestro di salvare il salvabile?
Essendo finita la legislatura, lo posso ormai dire chiaramente. La riforma è insufficiente e non si occupa, se non marginalmente, dei problemi per cui stiamo qui a discutere. Noi non possiamo chiedere a chi non conosce i meccanismi interni alla magistratura di fare una riforma coraggiosa, perché non la potrà fare. Se l’idea, infatti, è quella di fare la riforma chiedendo un lasciapassare a chi oggi detiene il potere non vi potrà mai essere nessun vero cambiamento.
Nel libro che lei ha scritto insieme ad Alessandro Sallusti, si è soffermato anche sul rapporto malato fra politica e magistratura. Una questione antica, che fin dai tempi di Tangentopoli anima il dibattito pubblico e che lei pone a spartiacque per interpretare anche la recente storia italiana…
Non vi è dubbio che dal 1992, ma soprattutto dal 1993, l’assetto istituzionale disegnato dai Padri Costituenti ha smesso di funzionare, alterando l’equilibrio fra i poteri dello Stato. Con il venir meno dell’autorizzazione a procedere si è, infatti, affermata l’idea che la magistratura debba risolvere tutti i problemi della società. Questo ha determinato un allargamento dell’alea d’intervento del giudice penale, il quale viene ancor’oggi legittimato da una parte della politica e della stampa. Inutile dire che ciò ha saldato un asse pericoloso, che bisogna avere il coraggio di spezzare, perché rischia di lasciare i cittadini alla mercé di una giustizia arbitraria e iniqua.
Cosa, dunque, propone lei per ovviare a tale distorsione del sistema? Su quali aspetti problematici dovrebbe maggiormente focalizzarsi l’attenzione del legislatore?
Innanzitutto, è necessario porre fine al correntismo in seno al CSM, prevedendo meccanismi che premiano determinati titoli rispetto ad altri e che evitano una cooptazione su input della politica. C’è poi il tema della giustizia civile, di cui nessuno parla e che ogni anno, a causa della lunghezza dei processi, conduce al fallimento moltissime imprese. O anche il tema della famiglia, che nell’ambito del processo civile vede la giurisprudenza discutere su quale sia l’istituto più idoneo a tutelare i figli in sede di affidamento per separazione fra i coniugi. Tutti temi lasciati all’improvvisazione e in cui nessuno ha mai voluto entrare veramente nel merito. C’è, infine, il tema della carcerazione preventiva. Ad oggi, infatti, il 28,5% della popolazione carceraria è costituita da soggetti che sono in attesa di giudizio. Persone che, secondo una logica marcatamente inquisitoria, vengono detenute, prima ancora della sentenza di condanna, e del cui mantenimento se ne deve fare carico lo Stato, con un aggravio di spesa non indifferente.
Ma non solo questo. Lei, infatti, allarga il suo ragionamento anche ad altri aspetti della quotidianità…
Certamente se il fine dell’associazione fosse solo quello di parlare di giustizia esaurirebbe troppo presto il suo compito. Io penso che nella fase storica in cui viviamo, in cui l’astensionismo ha raggiunto oltre il 50% degli elettori, bisogna partire dalla giustizia per parlare anche d’altro. Penso, ad esempio, al tema dell’ambiente e del territorio. O, ancora, a quello più ampio della pubblica amministrazione, nella quale molti dipendenti pubblici si trovano ad operare senza mezzi sufficienti per far fronte alla mole di richieste provenienti dai cittadini. Penso, infine, ai giovani, che escono dall’Università e si vogliono avvicinare al mondo delle professioni senza dover compromettere la propria dignità. Tutti temi a cui la politica deve dare risposte certe e che nell’associazione troveranno sede privilegiata di dibattito e confronto.
Gianmarco Pucci