Rubrica a cura del Sommelier Riccardo Romano

Cari lettori, come preannunciato, in questo appuntamento descriverò sinteticamente la differenza tra vini spumanti lavorati con il Metodo classico e Charmat.

In Italia le c.d. bollicine”sono molto apprezzate. Normalmente si associano al Prosecco che è divenuto molto diffuso anche all’estero stante i numeri in costante crescita delle esportazioni.

Dico subito che il Prosecco è tipico del Friuli-Venezia Giulia e del Veneto essendo vinificato principalmente con il vitigno Glera e lavorato con il Metodo Charmat.  In Francia lo spumante tipico è lo Champagne nella zona omonima essendo vinificato principalmente con uve di Pinot nero e Chardonnay in percentuali variabili e lavorato con il Metodo classico (un esempio ne è anche lo spagnolo e più economico Cava).

Anche in Italia è molto diffusa la lavorazione con Metodo classico vinificato non solo con Pinot nero e Chardonnay ma anche con altri vitigni anche assemblati insieme in ‘cuvèe’ che si prestano alla spumantizzazione e provenienti da molteplici zone italiane. Dunque, dopo questa breve introduzione veniamo alle differenze tra i due metodi di lavorazione.

Fonte: Quattrocalici

La prima e fondamentale differenza è che il Metodo classico prevede una seconda rifermentazione in bottiglia, risultando un prodotto più strutturato rispetto al metodo Charmat: non a caso, in sequenza, si consiglia di breve prima un Prosecco eppoi eventualmente uno spumante Metodo Classico. A tale ultimo riguardo la rifermentazione in bottiglia avviene a contatto con i lieviti fino a raggiungere il corretto equilibrio e profumo che ricorda la crosta di pane. Il Prosecco, invece, viene lavorato senza rifermentazione in bottiglia risultando così un profumo agrumato ed una minore struttura al gusto.

Pertanto, si comprende come la lavorazione con metodo classico sia svolta in più fasi e per maggior tempo risultando un prodotto pregiato: si parte dalla spumantizzazione, alla presa di spuma con l’addizione del ‘liqueur de tirage’(una miscela formata da vino, zucchero di canna e lieviti) chesollecita la formazione delle bollicine, la messa in bottiglia (champagnotte),l’affinamento lento e lungo in bottiglia a contatto con selezionati lieviti, il remuageossia la rotazione delle bottiglie appositamente inclinate eppoi nel finale l’aggiunta eventuale di ‘liqueur d’expedition’(in assenza di aggiunta finale si parla di spumante‘pas dosè’) la tappatura finale ed il confezionamento.

Senza dubbio la sboccatura è il passaggio più rappresentativo e spettacolare poiché consente anche la luminosità e lo splendore del colore dello spumante trattandosi dell’eliminazione dei lieviti residui accumulati con l’inclinazione ed il raffreddamento nel collo della bottiglia ed espulsi un tempo con la leggendaria e spettacolare ma dall’esito incerto ‘à la volèe’.

Solo alla fine del 1800 l’unico modo per produrre spumanti era il metodo (classico) della rifermentazione in bottiglia. Poi per accelerare il processo produttivo e ridurre i costi elevati si pensò di realizzare la spumantizzazione in un grande recipiente a tenuta simile ad un’autoclave, messa in pratica dall’ingegnere francese Eugène Charmat ed ideato dall’italiano Federico Martinotti, senza rifermentazione in bottiglia. Ebbene la minor struttura dello spumante realizzato con Metodo Charmat si presta evidentemente per un abbinamento con cibo diverso rispetto al più strutturato spumante realizzato con il Metodo classico.

Fonte: ROSADIVINI

Entrambi, però, realizzano il risultato di poter essere appaganti ed eleganti dal punto di vista visivo sia per il colore che per le bollicine le quali garantiscono anche la pulizia e freschezza al palato sia per essere consumati da soli od in abbinamento del quale parleremo in un successivo appuntamento.

Da considerare, infine, che il vino spumante è normalmente servito in apposito bicchiere ‘flute’che è più alto per lo spumante Metodo classico proprio perché le bollicine (a causa della doppia fermentazione) sono di solito per la maggior pressione più persistenti e numerose.

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