Civil War già dal primo approccio si dimostra film del tutto diverso. Le immagini raccontano una storia credibile se non addirittura premonitrice

La nostra epoca ci ha abituati, oserei dire quasi assuefatti, a un continuo avvicendarsi di eventi bellici. È vero che con la fine della Seconda guerra mondiale tali situazioni non hanno mai visto nuovi scontri tra paesi europei e potenze al di fuori del Vecchio continente; tuttavia, i conflitti esterni a queste aree geografiche non sono mai mancati. Viet Nam, Cambogia, Afghanistan, Libia, Iraq ecc. sono solo alcuni dei campi di battaglia dove si sono perpetrate queste guerre. L’interno degli Stati Uniti però è sempre rimasto indenne da avvenimenti bellici. Si può dire che è dai tempi della guerra di secessione, cioè dal lontano 1865 che gli USA non accolgono uno scenario di guerra endogeno. 

Benvenuta quindi a questa pellicola di Alex Garland,‘Civil War’ che ci trasporta senza mezzi termini in uno scenario assolutamente nuovo. Attenzione, abbiamo avuto altri film che narrano di un futuro catastrofico in cui la guerra trasforma il territorio americano in un immenso campo di battaglia, ciò che abbiamo visto finora però attiene strettamente a un filone apocalittico legato per lo più a un racconto spettacolare che infiammi gli animi e coinvolga lo spettatore.

Fonte: Detik.com

Civil War già dal primo approccio si dimostra film del tutto diverso. Le immagini che si susseguono sullo schermo raccontano una storia credibile se non addirittura premonitrice. Siamo in un’America nel pieno della guerra civile, New York subisce attentati kamikaze, manca l’acqua, la benzina, la crisi energetica è dilagante e le forze dell’ordine fanno fatica a mantenere una pur minima parvenza di legalità, tanto che la sicurezza è diventato un bene assolutamente effimero.

In questo scenario catastrofico il giornalista Joel e la fotografa Lee hanno un solo obiettivo, intervistare il presidente asserragliato a Washington e ormai agli sgoccioli della sua carriera politica e probabilmente anche della vita. Documentare, insomma, le ultime parole dell’ultimo capo prima della fine.  A loro si aggregano l’anziano giornalista Sammy e la giovane fotografa Jessie. Inizia così il lungo viaggio e la pellicola prende la connotazione ‘on the road’ con tutti i canoni del caso. Davanti ai loro occhi si presenterà un’America dissanguata e priva di regole, quasi inerte di fronte all’orrore che pervade ogni spazio.

Fonte: Sortiraparis.com

Il regista muove la macchina da presa con un realismo agghiacciante facendo entrare lo spettatore all’interno degli scontri e creando un collage di fermo immagine, non dimentichiamo che del viaggio fanno parte due fotografe, in cui ciò che appare sembra già il passato. Come, cioè, se tutto fosse già avvenuto e ciò che stiamo vedendo non sia altro che un rewind ineluttabile. Non ci sono né vincitori né vinti, non ci sono né ideali né tanto meno eroi. La vendetta appare come l’unica vera forza e le sequenze conclusive mostrano la fine di ogni speranza verso il ritorno a un’epoca che sembra già preistoria.

Certamente c’è un forte riferimento a Trump e ai fatti di Capitol Hill, così come non mancano attinenze con la politica di Biden, tuttavia ciò sembra piuttosto una scusa, come a giustificare la narrazione della pellicola, come se certi fatti obiettivi non siano altro che l’evidenza di una crisi già in atto in una società, quella americana, ormai ineluttabilmente sull’orlo del precipizio.

Lello Mingione

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