La pellicola ebbe un grande successo di pubblico mentre la critica fu piuttosto tiepida; oggi questo lavoro è stato molto rivalutato riconoscendo all’Albertone nazionale una freschezza e una spontaneità che ben rendono l’atmosfera di quegli anni

Dante Fontana, modesto antiquario perugino, riesce finalmente a concedersi una vacanza a Londra, cogliendo l’occasione di partecipare a un’asta da Christie’s. La prima immagine ci mostra l’aeroporto di Fiumicino e i figli dell’antiquario, un ragazzino e una ragazzina grassocci, che guardano da un cannocchiale verso l’aereo che parte. Dal finestrino Dante saluta mentre l’aereo si alza dolcemente verso il cielo. Questo è l’incipit di Fumo di Londra, primo film in cui Alberto Sordi firma anche la regia.

L’approccio nella metropoli inglese è per Dante un colpo al cuore; le strade, le automobili, i negozi, la gente, ogni cosa è per lui, esterofilo e amante del cosiddetto bel mondo, un’emozione. L’eleganza londinese lo affascina e la prima cosa che fa, dopo essere sceso in albergo, è comprarsi una bombetta, un ombrello e un vestito fumo di Londra adatto alla City.

Londra è accogliente, c’è il sole e la gente sembra aperta e cordiale, tutto insomma corrisponde all’idea che si è fatto della capitale britannica. La sera però si svelano le prime discrepanze; al ristorante scopre che il cibo non corrisponde esattamente ai suoi desideri, così l’obiettivo della macchina da presa indugia sul suo viso deluso. Lo stacco dell’inquadratura che segue ritrova la sua espressione serena davanti ad un piatto di spaghetti in una tipica trattoria italiana. La scena ci riporta inevitabilmente all’immagine di Nando Meniconi del film di Steno “Un americano a Roma”, che dopo aver esaltato una colazione americana, finisce a mangiare un piatto di pasta. Chi non ricorda: “Spaghetto mi hai provocato e io me te magno”.

La mattina dopo Dante, emozionato come un bambino a Disneyland, entra da Christie’s. Vorrebbe acquistare un reperto etrusco, ma l’affare gli viene soffiato da un’anziana nobildonna che, per farsi perdonare, lo invita nel suo castello ad una caccia alla volpe. Nall’antica magione, dopo una serie di equivoci, rivede Elizabeth, una ragazza che aveva incontrato sul treno per andare al castello e che si rivela essere la nipote della duchessa. A cena la giovane, in qualche modo lo invita nella sua camera, ma Dante non capisce e l’intrigo salta.

Ogni cosa precipita quando Dante, per sdebitarsi con la padrona di casa, si offre di invecchiare il reperto etrusco che la donna ha acquistato all’asta e rivelatosi poi falso. Il marchingegno però non funziona, l’opera viene irrimediabilmente danneggiata e Dante viene cacciato con ignominia dal castello. Sul treno che lo riporta a Londra incontra di nuovo Elizabeth che torna in città per la scuola. La ragazza sembra ancora attratta da lui e la sera lo invita a una festa. Qui l’antiquario scopre un’altra Londra: giovani che si ribellano alle tradizioni, (non dimentichiamo che siamo nel 1966 in piena epoca dei Beatles), capelli lunghi, abbigliamento eccentrico, ma soprattutto grande desiderio di libertà e di rompere con i vecchi schemi. Ancora una volta Dante affascinato come un provinciale, (cosa che poi è), si lascia andare alla nuova tendenza.

Il film finirà in modo piuttosto triste, con Dante rimpatriato forzatamente per aver partecipato a uno scontro tra bande rivali.

La pellicola ebbe un grande successo di pubblico mentre la critica fu piuttosto tiepida; oggi questo lavoro cinematografico è stato molto rivalutato riconoscendo all’Albertone nazionale una freschezza e una spontaneità che ben rendono l’atmosfera di quegli anni in cui lo scontro generazionale stava prendendo piede creando i prodomi del ’68 francese.

In questa sua prima regia Sordi dà seguito alla tendenza che in quegli anni stava affermandosi nella cosiddetta commedia all’italiana, e cioè quella di raccontare lo stereotipo dell’italiano fuori dai confini nazionali, esterofilo e provinciale, che cade vittima dei luoghi comuni in paesi che conosce solo per sentito dire. Tre anni prima infatti lo stesso Sordi era stato protagonista de “Il diavolo”, storia di un italiano che sbarca in Svezia, e un anno dopo, nel 1967 di “Un italiano in America” con Vittorio De Sica.

“Fumo di Londra” fu però un film per certi versi diverso dai due citati. Attraverso le pur esilaranti e spesso grottesche avventure di Dante Fontana, trapela infatti una eleganza romantica e malinconica che fanno della pellicola una sorta di favola triste in cui le fantasie del piccolo provinciale, che pure sembrano infrangersi davanti a una realtà diversa da quella immaginata, non riescono tuttavia a cancellare fino in fondo il suo sogno. Questo punto di vista sembra coincidere con quello del regista che in una puntata del format Storia di un italiano, retrospettiva di brani della filmografia di Sordi, mostra un finale addolcito, dove Fontana, mentre volge lo sguardo per l’ultima volta prima di entrare nell’aereo, saluta i Beatles appena sbarcati.

Il fascino romantico della pellicola è molto dovuto anche alle bellissime musiche di Piero Piccioni in particolare con il brano “You Never Told Me”, scritta da Alberto Sordi, Robert Mellin e Piero Piccioni, con l’introduzione cantata da Sordi, Lydia Mac Donald e poi anche da Julie Rogers oltre che da Mina nella versione italiana, che resta fra le grandi colonne sonore del nostro cinema.

Un’ultima annotazione che non sarà sfuggita ai più appassionati, quando Dante Fontana conosce la Duchessa che lo inviterà al castello, questa gli dice di aver conosciuto un marchese Fontana in gioventù e l’antiquario non manca di millantare il titolo nobiliare dicendo che si trattava certamente di un suo zio, insomma non possiamo non fare un parallelo con il Conte Max uscito quasi dieci anni prima con protagonista lo stesso Sordi.

Lello Mingione

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