Tutti noi, nel momento in cui generiamo contenuti, stiamo contribuendo ad aumentare il tasso di infodemia. Eliminando le fake, lo facciamo in modo responsabile, in consapevolezza, sicurezza e coscienza

È un neologismo con il quale si intende descrivere la circolazione di una quantità eccessiva di informazioni, rispetto alla capacità di selezionarle e comprenderle. Si tratta dell’infodemia una vera e propria pandemia delle informazioni, esplosa con l’avvento del nano-publishing che, in contrapposizione al mainstream, ovvero un sistema di pochi grandi editori, ha portato alla nascita una galassia di micro-operatori dell’informazione.

Questi ultimi, fino a qualche anno fa, erano testate indipendenti, poi pagine social, poi gruppi WhatsApp, Telegram, poi Influencer. Oggi assistiamo ad un continuo proliferare di micro-editori che sono diventati capaci di acquisire consenso, visibilità, viralità, grazie a contenuti sensazionalistici prima, tendenziosi poi, fake news più di recente.

Facebook, nel suo report annuale, dichiara che ogni minuto vengono postati oltre 4 milioni di contenuti, ed in un solo anno sono stati rimossi circa 780 milioni di account falsi. La mancanza di regolamentazioni uniche a livello europeo ha permesso lo svilupparsi di linee editoriali totalmente basate su fake news, per attrarre click, utenti, e perciò, tramite concessionarie pubblicitarie, remunerare a furor di euro le proprie testate. 

Spesso, dietro questi account si nascondono organizzazioni politiche che, in un giro vorticoso, prendono denaro da fondazioni sparse in tutto il mondo, per fare della contro-informazione un’informazione contro.

Si stima che in Italia esistano più di 50 testate scientemente realizzate per inondare il web di meme e fake news. Ogni giorno in Italia vengono propagate e condivise, solo su Facebook, circa 2 milioni di post, 13 milioni di storie. Oltre il 30% dei post che trattano temi di rilevanza etica, sociale, politica, nascono da pagine non ufficiali, non verificate o non risalenti a fonti dichiarate, attendibili ed iscritte ad alcun ordine professionale. 

L’infodemia, perciò, è quell’eccesso di comunicazione che, senza conoscere codici deontologici, professionali e linguaggi appropriati, si confonde ed imbastardisce la vera comunicazione, rendendo incomprensibile la realtà, facendo sì che questa diventi un percorso di costruzione di senso, che ogni utente deve realizzare, alla ricerca di un equilibrio cognitivo. Una ricerca che rende paranoici, ansiosi e depressi. Una ricerca ossessiva, che sviluppa un effetto Slot Machine, con il quale scorriamo il dito per aggiornare la bacheca nella speranza di novità. Una ricerca che ci mette nell’incosciente condizione di accedere per 9 volte all’ora ad almeno un social, tra Facebook, Instagram e YouTube o piattaforme di messaggistica istantanea, come Telegram e WhatsApp. 

Un senso di fastidio, legato alla necessità di costruire un valore di fiducia o sfiducia, rispetto ad una notizia appresa, e di cui ci colpirà nell’80% dei casi la sensazionalità del titolo, la brevità del testo, l’emotività espressa dalla foto, o i tempi incalzanti del video.

I nuovi strumenti digitali, come la profilazione dell’utente, portano ad avere un processo di informazione tendenzialmente compromesso, perché direzionato, indotto da sofisticati algoritmi e tecniche di marketing digitale. 

Stando ai principali report prodotti da HootSuite, WeAreSocial e Google Trend, in Italia si spendono 2 ore e 5 minuti in media sui social. Il 98% degli utenti accede ad almeno un social tutti i giorni, il 53% usa Facebook come fonte di informazione, Instagram è preferito per seguire influencer, vip e condividere aspetti privati, non informativi.

Come fare perciò a non alimentare l’infodemia? 

Condividere, postare, inoltrare le informazioni necessarie, autorevoli, affidabili, e per fare ciò occorre riconoscere le fake news di modo da isolare le fonti inquinate che contribuiscono solo al caos. Per farlo basta attenersi a queste tre regole:

  • Leggere bene la fonte, la data di pubblicazione, ed il testo. Gli errori grammaticali non competono a professionisti seri e verificati.
  • Titoli sensazionalistici. Sono fatti con l’obiettivo di acchiappare like e generare condivisione. Prima di condividere leggi l’intero testo.
  • Ricerca su Google. Ci sono alcuni siti che analizzano le fake news, in tutti i casi, se nessun’altra testata rilancia la notizia in questione, ha poca probabilità di essere vera.

Tutti noi, nel momento in cui generiamo contenuti, stiamo contribuendo ad aumentare il tasso di infodemia. Eliminando le fake, lo facciamo in modo responsabile, in consapevolezza, sicurezza e coscienza.

Alberto Siculella

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