Non c’è nessuno che possa non comprendere che un sistema così strutturato rappresenta il più potente freno a mano tirato per l’economia o il più grande incentivo all’evasione fiscale

Abbiamo finalmente cominciato ad analizzare la Finanziaria Draghi e, sinceramente, ne siamo profondamente delusi.  Nella lettura dei molteplici commi si percepisce chiara l’esigenza di accontentare tutte le troppe anime del governo nonché l’assenza di una qualsivoglia strategia di politica economica.  Tutti i sostenitori di questo esecutivo, compreso chi scrive, pensavano, ma a questo punto speravano, che l’indiscusso spessore e l’indiscussa caratura dell’uomo, fosse sufficiente ad accantonare le smanie propagandistiche dei partiti politici per abbracciare una sana riforma fiscale.

Così non è stato. Tra i punti più deboli del decreto c’è la riforma degli scaglioni dell’IRPEF che possiamo ben definire demagogica ed insensata. Si riducono di due punti le tasse per lo scaglione di redditi tra € 15.000 ed € 28.000 e di tre punti tra € 28.000 ed € 50.000, poi si porta l’aliquota del 43 % a partire da € 50.000 anziché da € 75.000. Uno schiaffo alla piccola borghesia. L’aliquota del 43 % in Italia non l’ha mai voluta pagare nessuno (dichiarano redditi soggetti al 43% circa il 2,2 % dei contribuenti) ed ha sempre fatto da tappo alla volontà degli italiani di dichiarare reddito.

I contribuenti l’hanno sempre, nei fatti, giudicata iniqua e nella sostanza – tolto qualche malcapitato che non ha potuto sottrarsi – hanno risolto il problema a modo loro. Peraltro, è assolutamente evidente che l’aumento in busta paga per chi si avvantaggerà dei due punti in meno sui redditi bassi, non comporterà nessun reale sollievo, (previsto un aumento in busta paga di circa € 25), mentre i penalizzati, se dovessero sottoporsi al prelievo, cambierebbero la loro bella Alfa Romeo con un paio di anni di ritardo, (c’è da chiedersi se lo Stato abbia veramente tratto vantaggio da questo aumento).

Poi ci siamo soffermati su un calcolo tragicomico, che vi riportiamo nella sostanza per non annoiarvi oltremodo.

Tutti sanno che in Italia sussiste una tassazione forfettaria, che riguarda piccoli artigiani, professionisti, partite iva, nella sostanza piccoli imprenditori. Detto modello impositivo riduce le imposte ai soggetti che possono accedere a detto regime se i loro ricavi rientrano nel limite annuo degli € 65.000.

Cosa accadrà, però, alla luce della nuova IRPEF voluta dalla finanziaria, a quel contribuente forfettario che con tanto sudore ed impegno arrivasse a guadagnare € 100.000 all’anno? Ve lo diciamo noi. Sarà costretto ad abbandonare il regime forfettario e ad entrare in quello ordinario, con la conseguenza che, assolvendo le tasse ed i contributi dovuti, avrà un aumento di reddito netto, spendibile, pari a circa € 4.000. Non basta, con il sistema fiscale nostrano, il povero contribuente che tanto si è adoperato per elevare il suo reddito di circa il 54 % nei confronti dell’esercizio precedente, dovrà recarsi in una banca, o attingere a propri risparmi, per versare le maggiori imposte dovute e per le quali, ovviamente, non ha versato acconti.

La domanda spontanea, che sorge naturale a chiunque, è chiara: chi glielo ha fatto fare?

Non c’è nessuno che possa non comprendere che un sistema così strutturato rappresenta il più potente freno a mano tirato per l’economia o, in alternativa, il più grande incentivo all’evasione fiscale. Tutto quanto in ossequio alla più bieca demagogica ricetta orientata al “paghino i ricchi”. Come se poi un individuo che sbattendosi tutto il santo giorno, a proprio rischio e senza garanzie né sindacati che lo proteggano, magari dando anche qualche posto di lavoro, possa essere considerato ricco.

E dunque l’ultimo quesito che rimane riteniamo sia questo: tutto questo Draghi lo sa?

Ferruccio Zappacosta

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