Vi riportiamo alcune analisi da fonti giornalistiche che abbiamo consultato al solo scopo di metterle a confronto

24 marzo 2024 – Mentre la spaventosa contabilità della strage di civili uccisi e feriti venerdì 22 marzo a Mosca è tuttora in corso, con il numero di vittime destinato a crescere, si tentano da più parti svariate interpretazioni sul movente e i mandanti dell’attacco terroristico rivendicato dall’Isis-K.

Il direttore del Programma sull’estremismo della George Washington University, Lorenzo Vidino, intervistato da Rsi (radiotelevisione svizzera), rispondendo alle domande fa una premessa: “La Russia è uno dei nemici principali dell’IS”.

Poi spiega: “L’IS è attivo in questo momento in tre regioni vulnerabili che sono l’Iraq, la Siria e l’Afghanistan. In tutti e tre questi teatri la Russia è attiva, combattendo contro l’IS. Quindi, per l’IS la Russia è un nemico giurato. Il tutto rientra storicamente nelle azioni dei russi contro il jihadismo caucasico e nel centro Asia contro la Russia stessa”.

Vidino analizza anche la scelta del momento, il fattore tempismo, perché è ovvio che bisogna considerare che l’attentato al Crocus City Hall segue di pochissimo la riconferma elettorale di Putin e dice: “Come premesso, la Russia ha giocato un ruolo importante nella sconfitta del Califfato islamico in Siria e in Iraq. La simbologia è sempre un qualcosa di estremamente importante per tutti i gruppi jihadisti. Al tempo stesso è anche vero che per agire il terrorismo sceglie i momenti con opportunismo, per ragioni dettate su quando si possa colpire con maggiore facilità”.

La sala da concerti distrutta dall’incendio – Fonte: Russian Emergency Ministry, Press Service via AP

Putin, intanto, dalle agenzie di stampa che rilanciano le sue dichiarazioni, insiste a considerare l’Ucraina il mandante. “È chiaro che l’attenzione dei servizi segreti russi è focalizzata soprattutto sul teatro ucraino – commenta Vidino -, per quanto non abbiano perso di vista la minaccia jihadista che in Russia esiste da decenni. In un sistema come quello russo, molto incentrato sulla sicurezza, diciamo però che i servizi russi sono molto bravi nella repressione, ma storicamente non bravissimi nella prevenzione. Voglio anche dire, però, che queste sono cose che succedono in tutti i paesi. L’IS è stato capace di colpire più o meno in ogni stato del mondo, quindi è molto difficile prevenire. Adesso, tuttavia, stiamo parlando di un attentato di dimensioni importanti per quanto riguarda la preparazione. Il numero d’individui coinvolti non è l’azione di un lupo solitario, potenzialmente più facile da scoprire. Ciò sta creando un imbarazzo maggiore per Mosca e per il Cremlino”.

L’IS oggi è molto diverso da quando è caduto il Califfato. In pratica si è disciolto in varie organizzazioni, che perseguono obiettivi specifici e affatto univoci. È cambiata anche la territorialità, non più centralizzata come un tempo. Gli esperti di terrorismo dicono che esistono varie diramazioni di quello che resta dell’IS originario, con riferimento alle province autoproclamatesi del Califfato. Quella in Afghanistan sarebbe la più forte, capace di contrastare i talebani. Basti pensare agli svariati attentati ai loro danni.

Inoltre, l’IS afghano cerca di colpire in Europa. Nel periodo natalizio sono stati sventati attacchi in Germania e in Austria e si disse che quelle cellule terroristiche avessero collegamenti importanti con l’Afghanistan.

Crocus City Hall – Fonte: Russian Emergency Ministry, Press Service via AP

Riportavamo all’inizio che l’attentato a Mosca del 22 marzo scorso è stato rivendicato dal gruppo terroristico islamico Isis-K (ipotesi confermata anche dall’intelligence americana). “K”, che sta per Khorasan, indica un gruppo di aree non solo dell’Afghanistan, ma anche di Iran, Tagikistan, Turkmenistan e Uzbekistan.

Alessandro Politi, direttore della Nato Defense College Foundation, intervistato dall’Agenzia d’informazione religiosa Sir ha osservato: “L’avvertimento da parte dei servizi segreti americani alla Russia circa un possibile attentato fa supporre che la collaborazione fra i due Paesi nella lotta al terrorismo non si sia mai interrotta”. E aggiunge ancora: “Si è trattato di un attacco importante, condotto con armi automatiche, divise paramilitari, esplosivi già visti in altri scenari. C’è poi un interessante antefatto. Ai primi di marzo, l’intelligence americana aveva allertato i servizi russi, e alcune ambasciate anche se non sappiamo quali, di evitare assembramenti nei luoghi aperti al pubblico”. Politi qui fa riferimento al 7 marzo, quando si era saputo che nella regione di Kaluga le teste di cuoio russe avevano sgominato una cellula dell’Isis-K che preparava l’assalto a una sinagoga.

C’è da considerare, inoltre, la dichiarazione del presidente serbo, Aleksandar Vučić, riportata da un’Agenzia di stampa turca. Per quanto le sue parole siano enigmatiche, Vučić afferma che “non è importante da dove vengano i combattenti, l’importante è l’organizzatore”. Nonostante il detto non detto con cui si è espresso, si potrebbero associare le sue parole a una prospettiva di escalation della guerra in Ucraina da parte dei russi. Infatti, il Gur ucraino (intelligence militare ucraina, rifondata e addestrata dalla Cia) ha parlato di una provocazione per lanciare una nuova e più pesante mobilitazione contro Kiev.In ultima analisi è un dato di fatto che i gruppi terroristici in Afghanistan restino attivi. I talebani non sono riusciti a neutralizzarli. Gli analisti teorizzano che, anzi, si siano internazionalizzati con altre organizzazioni non dormienti in Asia e Africa. L’Isis-K, quindi, potrebbe avere attaccato i russi per i loro rapporti di collaborazione antiterroristica con i talebani in Asia Centrale e per la decisiva presenza russa in Siria. Sono due anni, del resto, che il gruppo fa propaganda contro Putin.

L’attentato terroristico a Mosca arriva in un momento emblematico. Putin è appena stato rieletto e gode di una fetta importante di consenso in patria, al netto di coloro che si oppongono con tutte le loro legittime ragioni. Dalle fonti giornalistiche consultate emerge una pluralità di analisi che giungono alla conclusione che l’attacco del 22 marzo rinsalderà il legame della popolazione intorno a Putin, ma si è manifestato pur tuttavia un segnale di fragilità sul fatto che la Russia si sia lasciata sorprendere da un’azione nel ventre della capitale.

Daniela BLU

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