Un prodotto straordinario in tutti i sensi: fotografia, regia, attori, sceneggiatura e scenografia che non possono lasciare indifferenti

Su Netflix è in onda in questi giorni una serie tv che mi ha particolarmente colpito. In genere non sono molto attratto dalle serie, in questo caso devo dire però che la qualità veramente straordinaria di questo prodotto, in tutti i sensi, fotografia, regia, attori, sceneggiatura e scenografia non può lasciare indifferenti. Si tratta di“Ripley”, serie televisiva ideata da Steven Zaillian e uscita sul piccolo schermo il 4 aprile di quest’anno. Insomma, da pochissimi giorni.

Avevo visto venticinque anni fa, proprio nel 1999 “Iltalento di Mr. Ripley” (The Talented Mr. Ripley), film diretto da Anthony Minghella, liberamente tratto dall’omonimo romanzo di Patricia Highsmith, già portato sullo schermo nel 1960 con “Delitto in pieno sole”, che fu diretto da René Clément e interpretato da Alain Delon ma, sia nel primo che nel secondo caso non ero rimasto particolarmente entusiasta. A causa di questi precedenti, uniti alla mia poca attitudine per le fiction, della quale ho già detto, avevo sempre rimandato la visione di ciò che consideravo l’ennesimo rifacimento di un film legata troppo spesso alla poca fantasia degli autori.

Ecco che però improvvisamente accade il miracolo, la serie che sto guardando è lontanissima dai mediocri prodotti commerciali che molto spesso affollano i canali televisivi. Già dai titoli appare una cura quasi maniacale nelle didascalie e nelle immagini che le accompagnano. La New York degli anni Sessanta, precisamente del 1961, rigorosamente in bianco e nero, come tutta la pellicola, del resto, è raccontata con una fotografia degna del miglior Elia Kazan di “Un tram che si chiama desiderio”. Accade lo stesso quando la storia si trasferisce in Italia. Qui era possibile che l’occhio di un cineasta americano indulgesse sugli stereotipi che riguardano il nostro paese, inciampando, per capirci tra pizze e mandolini.

E invece, udite udite, ciò che appare sullo schermo è vicinissimo a come siamo realmente. Questo non solo grazie alla sensibilità di una fotografia di Robert Elswit, già premio oscar per “Il petroliere”, che si sposa perfettamente con la scenografia e i costumi, ma anche e soprattutto grazie all’uso raffinato della cinepresa che si muove con equilibrio tra primi piani e campi lunghi, lasciando sempre l’occhio di chi guarda come in attesa di scoprire il vero intento del protagonista.

La storia piuttosto nota, dati i precedenti lavori accennati, narra del giovane Ripley che, carpendo la buona fede di un ricco imprenditore navale Newyorchese, si reca in Italia per convincere Dickie, il figlio di quest’ultimo, a tornare negli States. I due giovani si incontrano e inizialmente convivono con una certa armonia in Italia nella casa di Dickie. La situazione però precipita quando, dopo qualche settimana, il figlio dell’imprenditore chiede a Ripley di trovarsi un altro alloggio. Da qui inizia un’altra storia, Riply si rivela per quello che è, un piccolo truffatore privo di qualsiasi scrupolo, pronto anche ad uccidere per raggiungere il suo scopo.

Fonte: Il Notiziario

Poiché in qualche modo si tratta di un giallo a tinte noir non mi sento di raccontare oltre, considerando che in ogni caso le sorprese non mancheranno anche per chi ha visto il film di Minghella del secolo scorso. Oltre alla ottima regia di Steven Zaillian, (autore che ha al suo attivo sceneggiature di capolavori come “Schindler’s List” e “Gangs of New York”), va sottolineata la grande prova di tutto il cast, a partire da Andrew Scott la cui interpretazione puntuale riesce a trasmettere allo spettatore l’ambiguità angosciante di un Ripley sul cui volto è sempre disegnato un sorriso oscuro e illeggibile.

Bravissimi anche Johnny Flynn e Dakota Fanning, rispettivamente Dickie, il figlio dell’imprenditore newyorchese e Marge la sua fidanzata. Un plauso infine a Margherita Buy, la donna che gestisce l’appartamento di Roma dove alloggia Ripley e a Maurizio Lombardi, l’ispettore che sta alle costole del protagonista.

Che dire ancora, un film da vedere e anche rivedere, non foss’altro che per godere di tutti i preziosi dettagli che arricchiscono la storia, oltre a quanto già detto naturalmente.   

Lello Mingione

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