Un esempio di pessima gestione amministrativa di una struttura sanitaria capitolina
La nota espressione “avere un Santo in Paradiso” è ormai un dovere se vuoi far sì che i tuoi diritti vengano rispettati. In un’Italietta dove quello che più conta è la raccomandazione, se non hai la fortuna di conoscere qualcuno che possa prendersi cura di te, è inevitabile vedersi passare avanti senza se e senza ma.
Purtroppo, questo modus operandi non è tipico solo di alcune realtà ma investe l’intero tessuto sociale, Sanità compresa.
Ed è proprio di questo settore che andremo a parlare nelle prossime righe. La storia che ci accingiamo ad esporre non è di fantasia e riguarda un’esperienza negativa vissuta in prima persona. Parliamo dell’ospedale San Carlo di Nancy, sito nel quartiere Aurelio, a due passi dalle mura Vaticane. Una struttura sanitaria che appare tanto efficiente in termini clinici quanto carente in quelli amministrativi.
Dopo aver ricevuto dal Pronto Soccorso dell’ospedale in questione un foglio col quale presentarsi l’indomani presso l’ambulatorio per una visita di controllo, ho accompagnato mio padre nel primo pomeriggio per fissare l’appuntamento, mostrando all’impiegata il certificato sopra citato e ricevere il numero di chiamata.
Di nove sportelli ne erano operativi due! Ma proseguiamo.
Un monitor fissato nella sala d’attesa indicava il codice (lo stesso del biglietto) ed il presunto orario di visita. Per poter accedere all’ambulatorio, bisognava attendere che comparisse il numero della stanza e la scritta “chiamata”. Fin qui nulla di strano nonostante il giorno prima, al Pronto Soccorso, avessero reso il tutto fin troppo facile: “Si presenti domani pomeriggio direttamente all’ambulatorio, senza effettuare l’iter di prenotazione”.
In realtà, avere un riferimento di chiamata è comunque obbligatorio.
Fonte: GVM
Col passare dei minuti, ci siamo accorti che gli orari di visita riportati (il nostro era fissato per le 14.29) non venivano rispettati e le chiamate andavano ben oltre il tempo segnato. Ma oltre al tempo, anche i numeri di chiamata non seguivano una sequenza logica: il nostro numero V527 è stato “scavalcato” da altri numeri, maggiori e minori, sempre, però, legati alla stessa tipologia di visita.
Dopo un’attesa di oltre un’ora, siamo andati a chiedere spiegazioni all’ufficio amministrativo. E qui viene il bello (anzi il peggio). Una delle due ragazze a cui abbiamo sottoposto il problema ci ha risposto quanto segue: “I numeri di chiamata che vi vengono rilasciati non hanno alcuna importanza. Il criterio si basa sui tempi di prenotazione. Se, dunque, una persona ha già prenotato la visita ma arriva dopo di voi, sarà comunque chiamata prima”.
Davanti alla mia osservazione di come un principio del genere fosse assurdo, visto che in questo caso c’era un foglio del Pronto Soccorso a testimoniare l’urgenza della visita, mi è stato risposto che “dal Pronto Soccorso la fanno sempre facile. Qui c’è un medico solo (del reparto che a noi interessava) e dunque si va per priorità. Se proprio il paziente non riesce ad attendere può sempre bussare alla porta dell’ambulatorio e chiedere di essere visitato”.
Ora, davanti ad una spiegazione così assurda viene da chiedersi se veramente non si sia raschiato il fondo del barile, anche in ambito sanitario. Se c’è un criterio di chiamata che, almeno all’apparenza, si basa su un codice alfanumerico ed un orario, pur non pretendendo la puntualità svizzera (che tra l’altro non ci appartiene culturalmente), risulta farsesco pensare di bussare alla porta dello studio medico definendo il proprio caso come grave.
Se fosse vero quanto detto dall’impiegata non avrebbe alcun senso presentarsi allo sportello per ottenere il proprio codice ed attendere il turno. Chiunque si autodefinirebbe “grave” per saltare i tempi di attesa.
A conclusione di quanto scritto, dopo un’ora e mezza, abbiamo pensato di andarcene visto che il rischio di attendere anche due ore, oltre a quella già spesa, era dietro l’angolo.
Questo, purtroppo, è solo un esempio di pessima gestione amministrativa (non certamente medica) di una struttura famosa nella Capitale come il San Carlo. La cosa più avvilente è vedere come si continui a giocare sulla pelle delle persone come se nulla fosse. Sì, perché al di là di tutto, nessuno decide di spendere un pomeriggio intero in una sala di attesa d’ospedale poiché non ha niente di meglio da fare.
Un’ora e mezzo, questo il vergognoso tempo trascorso. Siamo veramente convinti che il quarto mondo sia l’Africa?
Stefano Boeris