Quando si conquista la leadership, l’appagamento è totalizzante, la felicità assoluta ma, subentra un altro problema: con chi condividere tutto questo?

Ci sono persone che investono la maggior parte del tempo della loro vita per raggiungere nel lavoro una posizione di vertice, di comando o supervisione di qualcosa.

Per arrivare a questo obiettivo il più delle volte sono costrette a rinunciare a tante altre cose: sicuramente c’è meno tempo per gli affetti familiari, per trascorrere del tempo con gli amici, per riposarsi ed occuparsi un po’ di se stessi. Il desiderio di farcela è superiore, non concede tregue, distrazioni.

Conquistare la sedia del capo è impegnativo, bisogna essere costantemente ed esclusivamente concentrati per questo e solo per questo. Il percorso di avvicinamento è quasi sempre pieno di ostacoli e comprende anche l’intrusione, spesso imprevista, di persone spesso inappropriate per il ruolo a cui aspirano. Diventa quindi costante, almeno per un certo periodo, la preoccupazione di avere una specie di nemico da superare, vincere, purtroppo non sempre solo con la professionalità.

Ma quando si conquista l’obiettivo, l’appagamento è totalizzante, la felicità assoluta ma, subentra un altro problema: con chi condividere tutto questo?

Fonte: Lavorare col Sorriso

Non è scontato dire “con la propria famiglia” perché non sono rari i casi di coniugi tra loro in competizione sulla leadership familiare che passa anche sulla solidità della posizione lavorativa.

I figli, poi, spesso mal digeriscono un genitore troppo in carriera che li priva del loro tempo e delle loro attenzioni. Magari soddisfa delle loro esigenze materiali che però non sono sufficienti a compensare meno dialogo e idee da condividere.

E che dire dei colleghi? Ci sono quelli superati di slancio che adesso si ritrovano sotto con un rapporto anche umano destinato comunque a modificarsi. Oppure quelli sempre fedeli, collaborativi, che adesso aspirano anche loro ad avere di più, a “contare” di più nella vicinanza accanto al capo. Tutto molto complicato dalla differenza dei caratteri delle persone ma anche dall’ incapacità di tanti di riconoscere i propri limiti.

Il risultato è che chi è diventato finalmente “capo” è anche più solo.

La solitudine da capo è fastidiosa. È come se improvvisamente non ci si può più fidare di nessuno, almeno non completamente.

Che noia! Anzi, che problema!

Rimane una soluzione: rimanere capo il più possibile. Il poter decidere autonomamente in una posizione di vertice abitua a snellire e a sveltire procedure, risolvere dei problemi. Rischiare di fare un passo indietro è impensabile, non contemplato.

Raimondo Astarita

Un pensiero su “LA SOLITUDINE DI CHI È AL COMANDO”
  1. Bravo Raimondo, hai toccato un tasto. Importante e di Grande attualita’.
    La solitudine e’ brutta…molto brutta che porta a conportamenti estremi .
    E’ nel periodo dell’eta’ avanzata che la solitudine trova terreno fertile…e noi dobbiamo prevenirla….ma a dirlo e’ semplice….metterlo in pratica e’ difficile .
    Un abbraccio.
    Gino

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